“Vivere senza la chiave. Dialoghi tra carcere e città” è l’appuntamento in programma sabato 16 novembre al Teatro Capuccini, via Canal Grande 55, a Faenza.
A partire dalle 18.30 si terrà un incontro con frate Ignazio De Francesco. Dopo l’incontro, alle 20.45, è in programma uno spettacolo teatrale tratto dal libro dello stesso De Francesco “Vivere senza la chiave”. In scena Joseph & Bros.
“Una rappresentazione molto intensa che ha visto la sua ‘prima’ nel carcere della Dozza, per volontà dell’autore del testo da cui è stato tratto lo spettacolo teatrale. Si tratta di Joseph & Bros, con la regia di Alessandro Berti, attore regista e drammaturgo, in scena con Francesco Mariuccia e Savì Manna. Il testo lo ha scritto Ignazio De Francesco, monaco dossettiano, islamologo, co-fondatore di Eduradio. Si chiama Giuseppe e i suoi fratelli, dal suo libro ‘Vivere senza la chiave’, Zikkaron Edizioni, una piccola casa editrice che pubblica testi preziosi”.
La storia racconta di tre persone, Gadi, Salvo e Ahmad, che si sono trovati, non certo per scelta, nella stessa camera di pernottamento (così si chiamano le celle oggi) e subito si differenziano per cultura, lingua, credo, provenienza e anche reato. Costretti e ristretti in nove metri quadrati, tra l’attaccamento alle proprie tradizioni, famiglie, storie personali e la consapevolezza che cresce battuta dopo battuta che lì dentro, giocoforza, respirano la stessa aria, subiscono gli stessi odori, percorrono gli stessi piccoli spazi, condividono le stesse sofferenze facendosi coraggio l’uno con l’altro. Uomini con identità diverse alle quali si attaccano con la forza della disperazione, ma Gadi insinua il dubbio proprio sull’idea di identità. Quel lemma che definisce, restringe, limita, isola ma allo stesso modo rassicura, unisce i consanguinei, i ‘fratelli’, magari contro chi non è della stessa famiglia, etnia, cultura. De Francesco, nel dialogo con il pubblico, parla della necessità di una Costituzione della Terra, una nuova legge superiore a quella attuale che, nel nostro mondo che cambia velocemente, è ormai datata e infatti spezzetta, parcellizza, inquina e, soprattutto, non promuove la Pace.
Ad un certo punto Gavi dice: “… Ma una cosa ci accomuna: la chiave. Non abbiamo la chiave, la chiave è in mano ad altri. Il carcere alla fine è solo questo. Si tratta di imparare a vivere senza la chiave”.
“Ma vivere senza la chiave non è solo una condizione di chi vive in restrizione dietro le sbarre, è anche quella di chi non può lasciare il proprio paese, di chi vive nei campi profughi, nei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) o di chi vive recintato nella propria terra. L’autore ci ha raccontato di come si sia sentito ristretto ad Ain Arik, il villaggio in cui c’è una sede della Piccola Famiglia dell’Annunziata, situato a circa 6 kma nord-ovest di Ramallah con 1800 abitanti dei quali meno di un terzo sono cristiani e due terzi musulmani, mentre sulla sua testa passavano le bombe. È lì che è nato questo racconto, in quel ‘carcere’ da cui nessuno poteva uscire e dove, anzi, tante persone cercavano rifugio. La similitudine è presto fatta, le sbarre immateriali ci sono, la convivenza pacifica si può imparare – sull’esempio di Gadi, Salvo e Ahmad – la Costituzione della Terra è quanto mai necessaria, è ora di mettersi tutti insieme al lavoro e di ripensare a come vogliamo vivere e in che mondo”.