In un clima infuocato da venti di guerra, bollette energetiche e un’inflazione in costante risalita, il Governo ha finalmente approvato il Pitesai definendo le aree idonee per le attività di estrazione.
Ci sono voluti ben 3 anni. Inutile recriminare. Chi aveva un minimo di competenza nel complesso mondo dell’energia aveva avvisato dei rischi che poi si sono configurati: costo bollette, stop ad attività produttive e conseguente perdita di salario e di posti di lavoro, limitazione dell’autonomia energetica (e quindi economica), tensioni geopolitiche e danni ambientali (riattivazione di centrali a carbone, approvvigionamento tramite navi-gasiera). Chi di energia si occupa tutti i giorni, mentre il mondo riscopriva la propria sensibilità ambientale, aveva anche avvisato che rinunciando al gas ci saremmo consegnati al nucleare.
Oggi la discussione sul nucleare si è riaperta anche da noi, nonostante due referendum. Siamo passati dai ragazzi del FFF che chiedono, giustamente, un ambiente più sostenibile, all’idea che pur di abbassare i prezzi ogni mezzo è necessario. Questa distanza è la misura tra la teoria e la pratica, tra la demagogia e il cinismo.
Il tempo perso non si recupera più. Come non si recuperano più i mancati investimenti. Solo a Ravenna, prima della moratoria e dopo un referendum, erano stati stanziati 2 miliardi. Non si recuperano più i posti di lavoro persi e le competenze che hanno abbandonato il nostro Paese.
“Oggi abbiamo il dovere di cambiare senso di marcia almeno per evitare ulteriori danni e provare a vincere la sfida epocale della transizione energetica-ambientale – spiega il segretario generale della Filctem Cgil di Ravenna, Alessio Vacchi -. La vinceremo, se e solo se, sarà davvero giusta anche sul piano sociale e globale. L’ambiente è di tutti, non è accettabile che per migliorare le nostre performance ambientali il prezzo lo debbano pagare i paesi poveri del mondo, sia in termini economici che sociali e ambientali (noi riduciamo la CO2 in Europa, che è responsabile del 8% delle emissioni globali, e per farlo devastiamo ambientalmente quei paesi che dispongono dei metalli rari necessari alle rinnovabili)”.
Per cambiare marcia il Pitesai da solo non è sufficiente. Servono scelte concrete e chirurgiche, politiche industriali ed energetiche credibili e condivise. Serve un vero coinvolgimento di tutte le competenze disponibili a partire dalle lavoratrici e dai lavoratori del settore. La transizione richiede tempo e per realizzarla serve una fonte energetica stabile e sicura. La Commissione Europea ha identificato il nucleare e il gas.
L’Italia rappresenta la seconda manifattura d’Europa. Il settore automotive vale circa il 20% del Pil. Non disponiamo di materie prime e siamo pesantemente gravati da un debito pubblico insostenibile. Per non compromettere la nostra sostenibilità economica e la nostra competitività industriale siamo chiamati ad utilizzare tutte le risorse di cui disponiamo. A partire dal metano, la cui produzione va aumentata. Per farlo sono necessari nuovi pozzi. Contemporaneamente è indispensabile investire nelle tecnologie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idrogeno) e in tutte quelle tecnologie che, oggi, consentono risposte immediate al fine di coniugare le esigenze ambientali e produttive, inclusa la CCS o CCSU. Ci sono già esperienze nel mondo e in Europa, l’Italia non può limitarsi a guardare, al contrario deve mettere a disposizione le proprie esperienze e le proprie notevoli competenze.
“A Ravenna, che può e deve rappresentare un modello, ci sono tutte le condizioni per vincere la sfida della transizione ecologica – conclude Alessio Vacchi -. Progetti avanzati di eolico e fotovoltaico a mare, su cui è necessario accelerare. La conformità dell’area industriale, inoltre, favorisce progetti per lo sviluppo dell’idrogeno e di CCS. A Ravenna, ci sono le condizioni per incrementare le attività e la produzione di gas, a partire dalle infrastrutture ancora esistenti e funzionanti e dalla ricerca scientifica geologica. Abbiamo le normative più restrittive al mondo in materia di sicurezza e ambiente. Le nuove normative, imposte ai concessionari italiani, obbligano a standard di sicurezza ambientale che non possono essere garantiti dai nostri dirimpettai e concorrenti che usufruiscono di altre norme e leggi”.