Sul tema del lavoro stagionale non è difficile sentirsi ripetere che “è tutta colpa dei giovani che non hanno voglia di lavorare” o che la mancanza di personale è da attribuire al reddito di cittadinanza. Non siamo ancora usciti dal loop.
Non possiamo accettare che vi siano imprenditori, che ricoprono anche cariche importanti, che dichiarano che non sia poi così disdicevole rinunciare al giorno di riposo e che sia normale lavorare oltre l’orario di lavoro stabilito, raccontandole come libere scelte dei lavoratori. Ricordiamo che il giorno di riposo è previsto dalla legge come obbligatorio e influisce indirettamente anche su questioni legate alla sicurezza sul lavoro: se non ci si riposa il rischio di infortuni o incidenti sul lavoro aumenta. Da quando rinunciare ai diritti è diventato il passaggio obbligatorio per salvare l’economia? Continuano a dirci che non siamo abbastanza disposti ad essere schiavi, e così finisce che i lavoratori debbano sentirsi accusati e colpevoli se il settore del turismo rinuncia a determinati servizi.
Non riusciamo ad uscire da questa lettura distorta della realtà, dove ci si lamenta per la carenza di personale formato quando l’interesse delle imprese è rivolto solo a trovare manodopera a basso costo, salvo rare eccezioni. Si continua ad insistere sulla modifica delle regole sul lavoro minorile, che è già ampiamente disciplinato e possibile. Ma allora quale possibile correlazione tra l’esigenza di lavoratori “qualificati” e la chiamata sul campo di minorenni? La retorica della formazione viene invocata come strenua difesa di posizioni ormai insostenibili.
Nei giorni scorsi sono uscite alcune inchieste su iniziativa de Le Iene su Italia 1, del Corriere Romagna nonché dal TG Regionale Emilia Romagna della Rai che mostrano qual’è la vera realtà nel settore del turismo e della ristorazione: la situazione è sotto gli occhi di tutti ma evidentemente non è ancora sufficiente a scardinare determinate posizioni. Per togliersi ogni dubbio basterebbe telefonare alle aziende che cercano personale, saranno loro a mettere in chiaro subito le condizioni: un terzo della retribuzione fuori busta (quando va bene) assenza di giorni di riposo, compensi dai 1200 ai 1800 euro forfait senza sapere a priori quante ore effettive si lavoreranno, 6 euro l’ora in pizzeria, alloggio non offerto e l’unico esempio di welfare è rappresentato da una pizza gratis a fine turno.
Il lavoratore deve sapere che nel settore del turismo funziona così, guai a rivendicare i diritti, guai a chiedere informazioni su stipendi e giorni di riposo, perché si deve accettare di lavorare a prescindere dall’offerta, a prescindere da tutto. Prima ti provo – in nero nella maggioranza dei casi – poi decido se e quanto pagarti. Non prendere atto di un problema reale, o ancora peggio negarla continuando ad affermare che la retribuzione è fissata dai contratti collettivi, significa rivendicare la legittimità di un sistema basato sullo sfruttamento, perché come si dice da sempre “il nero si paga con il nero”. Del resto se non c’è evasione come posso pagarti il fuoribusta?
Pasquale Tridico – Presidente dell’INPS – in una recente intervista ha dichiarato: “Se c’è un mercato c’è un’offerta e una domanda, se la domanda di lavoro non soddisfa l’offerta allora quest’ultima deve adeguare le sue condizioni, che possono essere remunerative, aziendali o di ore lavorate. Anche in altri paesi vi sono i medesimi problemi ma il tasso di polemica è molto inferiore”. Suggeriamo pertanto agli imprenditori di studiare economia anziché lamentarsi e basta, altrimenti resteranno da soli a fare impresa.
Il vero problema sociale non è pertanto legato all’assenza di giovani non disposti alla gavetta – tesi tanto cara agli imprenditori di ogni settore -ma l’assenza di cultura imprenditoriale per distinguere il lavoro sfruttato dal lavoro qualificato. Ricordiamo che alcuni imprenditori prospettano come soluzione alla carenza di personale l’apertura di nuovi flussi per l’ingresso di lavoratori stranieri. Del resto se non ci sono più gli Italiani ad accettare condizioni inaccettabili, chiamiamo chi invece lo è ancora per stato di necessità.
Sul tema del fatturato e dei redditi d’impresa vorremmo aprire un dibattito serio, chiedendo un’indagine sui dati relativi ai bilanci delle aziende turistiche della Riviera Romagnola nonché un’analisi della forza occupazionale con relativi dettagli contrattuali. Sarebbe interessante scoprire quanti siano i contratti full time dal momento che si dichiara normale dover accettare di lavorare ben oltre l’orario di lavoro.
Si dichiara di non riuscire ad offrire i propri servizi per colpa dei lavoratori introvabili, e che con meno fatturato di conseguenza si pagano meno tasse, e pertanto il danno è collettivo. Cioè il danno al sistema sociale per mancate entrate erariali è determinato dall’assenza di lavoratori secondo questa interpretazione.
La realtà però è che ci sono aziende, e non sono poche, che dichiarano zero utili, tantissime altre con cifre dai 10.000/15.000 annui – dati verificabili scaricando bilanci a campione sul sito della Camera di Commercio – Questo sarebbe possibile solo in un mondo in cui le aziende fanno impresa per hobby e non per fare business. Un’indagine della Guardia di Finanza di una decina di anni fa aveva fatto emergere un reddito medio annuo dichiarato dagli imprenditori di 11.000 euro per gli albergatori di Rimini e un reddito medio annuo dichiarato di 5.700 euro per i gestori degli stabilimenti balneari, questi dati a fronte di volumi d’affari reali decisamente più ingenti. Ci chiediamo se nel 2022 la situazione sia cambiata e come mai queste imprese, che dichiarano di guadagnare così poco, siano così in polemica per le concessioni balneari, visto che la loro l’attività non sembra poi così redditizia, visto quanto dichiarato. Con questi redditi dichiarati quanto si contribuisce realmente a sostenere il sistema collettivo?
Come viene riportato in un recente articolo a cura di Francesco Cancellato, direttore di un’importante testata giornalistica, “Pensare che la panacea in grado di risolvere i mali dell’economia italiana sia affamare i giovani disoccupati, forzandoli ad accettare qualunque proposta pur di salvare la stagione turistica del Belpaese è ancor più velleitario di quanto non sia moralmente abietto”.”
Maura Zavaglini – Responsabile Ufficio vertenze UIL Ravenna