Per la prima volta dall’inizio della guerra il prezzo del grano scende dell’8% in un solo giorno ma si riducono anche le quotazioni sul mercato di mais (-2%) e soia (-0,2%) destinate all’alimentazione animale, nonostante il permanere delle tensioni internazionali con lo stop alle esportazioni deciso dall’Ungheria e dall’Ucraina e le difficoltà dei trasporti dal Mar Nero dovute al conflitto tra Russia e Ucraina. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti alla borsa merci future di Chicago che rappresenta il punto di riferimento mondiale del commercio delle materie prime agricole. Un andamento – sottolinea la Coldiretti – che non significa il superamento delle difficoltà, ma piuttosto l’accresciuto interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che ha approfittato degli alti valori raggiunti per realizzare profitti. Le speculazioni – spiega la Coldiretti – si spostano dai mercati finanziari in difficoltà ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre piu’ dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto.
Una speculazione sulla fame che nei Paesi piu ricchi provoca inflazione e povertà ma anche gravi carestie e rivolte nei Paesi meno sviluppati, con le quotazioni sul mercato future di Chicago che per il grano restano comunque ai massimi per un valore di 11,54 dollari per bushel (27,2 chili) ma su livelli alti si collocano anche le quotazioni di mais (7,54 dollari per bushel) e soia, secondo l’analisi della Coldiretti. A sconvolgere il mercato dei prodotti agricoli è lo stop all’export deciso da importanti Paesi produttori come Ucraina e Ungheria mentre dalla permangono le difficoltà di spedizioni dalla Russia che è il principale esportatore mondiale. Una situazione che – spiega la Coldiretti – aggrava l’emergenza in Italia che è un Paese deficitario su molti fronti per quando riguarda il cibo: produce appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento.
Con la decisione dell’Ungheria di ostacolare le esportazioni nazionali di cereali, soia e girasole, in Italia è a rischio un allevamento su quattro che dipende per l’alimentazione degli animali dal mais importato da Ungheria e Ucraina che hanno di fatto bloccato le spedizioni e rappresentano i primi due fornitori dell’Italia del prezioso e indispensabile cereale per gli allevamenti. Dall’Ungheria sono arrivati in Italia ben 1,6 miliardi di chili di mais nel 2021 mentre altri 0,65 miliardi di chili dall’Ucraina per un totale di 2,25 miliardi di chili che rappresentano circa la metà delle importazioni totali dell’Italia che dipende dall’estero per oltre il 50% del proprio fabbisogno, secondo le analisi della Coldiretti. “Siamo di fronte ad una nuova fase della crisi, dopo l’impennata dei prezzi arriva il rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame” avverte Prandini nel precisare che “da salvare ci sono tra l’altro 8,5 milioni di maiali, 6,4 milioni di bovini, oltre 6 milioni di pecore e centinaia di milioni di polli e tacchini”.
L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti dalle industrie agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, approfittando dei bassi prezzi degli ultimi decenni, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti. Con lo scoppio della guerra e la crisi energetica sono aumentati mediamente di almeno 1/3 i costi produzione dell’agricoltura per un esborso aggiuntivo di almeno 8 miliardi su base annua, rispetto all’anno precedente, che ha messo a rischio il futuro delle coltivazioni, degli allevamenti, dell’industria di trasformazione nazionale ma anche gli approvvigionamenti alimentari di 5 milioni di italiani che si trovano in una situazione di indigenza economica, secondo il documento sulla crisi consegnato dal presidente della Coldiretti Ettore Pradini al Ministro per le Politiche Agricole Stefano Patuanelli.
“La pandemia prima e la guerra poi hanno dimostrato che la globalizzazione spinta ha fallito e servono rimedi immediati e un rilancio degli strumenti europei e nazionali che assicurino la sovranità alimentare come cardine strategico per la sicurezza” afferma Prandini nel chiedere “interventi urgenti e scelte strutturali per rendere l’Europa e l’Italia autosufficienti dal punto di vista degli approvvigionamenti di cibo”. La stessa politica agricola comune (Pac) e il Pnrr oggi sembrano già inadeguati a rispondere alle esigenze del tempo nuovo che stiamo vivendo e – continua Prandini – vanno modificati eliminando ad esempio l’obiettivo del 10% di terreni incolti previsto nella strategia biodiversità. Per questo bisogna agire subito – continua Prandini – facendo di tutto per non far chiudere le aziende agricole e gli allevamenti sopravvissuti con lo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera già stanziati nel Pnrr, ma anche incentivando le operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole a 25 anni attraverso l’Ismea, riducendo le percentuali IVA per sostenere i consumi alimentari, prevedendo nuovi sostegni urgenti per filiere più in crisi a causa del conflitto e del caro energia e fermando le speculazioni sui prezzi pagati degli agricoltori con un efficace applicazione del decreto sulle pratiche sleali”. E poi investire – conclude Prandini – per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica e le NBT a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici.