Domenica 10 aprile alle 11.30 al Teatro Rasi di Ravenna Daria Bignardi parlerà di “Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici” (Einaudi) con Matteo Cavezzali nella anteprima di ScrittuRa festival.
«Le situazioni pericolose, tristi, luttuose mi facevano vibrare come se solo nel dramma la vita si mostrasse davvero: nuda, integra, commovente». Ciascuno di noi, anche solo per un istante, ha conosciuto l’irresistibile forza di attrazione dell’abisso.
Daria Bignardi sa metterla a nudo con sincerità e luminosa ironia, rivelando le contraddizioni della sua e della nostra esistenza, in cui tutto può salvarci e dannarci insieme, da nostra madre a un libro letto per caso. Partendo dalle passioni letterarie che l’hanno formata, con la sua scrittura intelligente e profonda, lieve, Daria Bignardi si confessa in modo intimo – dalle bugie adolescenziali agli amori fatali, fino alle ricorrenti malinconie – narrando l’avventura temeraria e infaticabile di conoscere sé stessi attraverso le proprie zone d’ombra.
E scrive un inno all’incontro, perché è questo che cerchiamo febbrilmente tra le pagine dei libri: la scoperta che gli altri sono come noi. Memoir di formazione, breviario di bellezza, spudorato atto di fede verso il potere delle parole, questo libro è un percorso sorprendente e imprevedibile fatto di domande, illuminazioni, segreti, che pungola e lenisce, fa sorridere e commuove. Un viaggio nel quale la vita si manifesta «furiosamente grande».
«Dopo aver letto “Il demone meschino” di Sologub, a tredici anni, presi della polvere dal Piccolo Chimico, uno dei miei giochi preferiti di bambina, la misi dentro un foglietto di carta velina piegato in quattro e me lo infilai nel portafoglio, per giocare alla droga. Mio padre la trovò qualche anno dopo e la fece analizzare.
Distratto com’era, assente com’era, anziano com’era – sono nata che aveva quasi cinquant’anni – a suo modo cercava di tenermi d’occhio. Mia madre era così ansiosa che il solo pensiero che potessi cacciarmi nei guai la devastava, perciò lo rimuoveva. Mi proibiva tutto, che è come non proibire niente. Per lei – e quindi anche per me – non c’era scelta: dovevo essere irreprensibile e prudente, se no lei – come minimo – ne sarebbe morta. Diventai l’opposto».