Numerosi i visitatori, fra appassionati e cultori d’arte, ieri alla vernice della mostra “Anemoni” alla Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna, che mette insieme tre artisti di generazioni diverse come Renata Boero, classe 1936, Valentina D’Accardi, 1985, e Alessandro Roma, 1977. Artisti differenti anche per cifra stilistica, visto che si spazia dalla pittura alle ceramiche, dalle foto ai video. Per la prima volta insieme, grazie all’iniziativa della curatrice Irene Biolchini, storica dell’arte che insegna al Dipartimento di Arti Digitali dell’Università di Malta e curatrice ospite per il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. La mostra, che resterà aperta fino al prossimo 16 dicembre, è inserita nel ricco cartellone di “Ravenna Mosaico – VIII Biennale di Mosaico Contemporaneo”, con il patrocinio del Comune di Ravenna e del Dipartimento di Beni Culturali dell’università di Bologna e in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Ravenna.
«Grazie alla Fondazione Sabe per l’Arte per aver investito sulla città – afferma in apertura l’assessore alla Cultura Fabio Sbaraglia –, contribuendo ad arricchire l’offerta culturale. La scelta di partecipare alla Biennale, che aprirà sabato 14 ottobre, ci fa molto piacere perché coglie un aspetto su cui stiamo investendo come amministrazione: promuovere le varie tecniche del mosaico. Tra gli obiettivi vi è quello di ampliare la platea dei partecipanti e la Fondazione Sabe partecipa in modo propositivo già dall’anno scorso, offrendo uno sguardo sul mosaico contemporaneo». Sulla stessa lunghezza d’onda è anche il direttore della Biennale di Mosaico. «Questa è una mostra che sento da vicino – spiega Daniele Torcellini – visto che ho studiato a lungo cromatologia di cui è maestra Boero. Nella mostra “Anemoni” il mosaico si apre a nuove riletture e interpretazioni, attraversando più discipline artistiche, ed è un modo per guardare il mosaico rinnovato».
A spiegare il senso della mostra, è stata poi la stessa curatrice. A partire dal titolo. «“Anemoni” è un omaggio ai fiori simbolo di caducità e fragilità – spiega Irene Biolchini –. Evidente è il riferimento alla tradizione del mosaico ravennate dove i fiori hanno sempre avuto un ruolo simbolico. Nelle chiese sono spesso raffigurati come una croce e alludono alla rinascita. Hanno un effetto cicatrizzante, come credevano i latini. Nel complesso la mostra è un percorso di rinascita, di cura dei traumi e di rapporto con le forze naturali che però non sono solo idillio ma anche portatrici di distruzione, come i recenti fatti alluvionali dimostrano». In mostra per la prima volta i piatti salvati dal fango dell’alluvione all’interno del laboratorio di Ceramiche Lega, su cui si è concentrato il lavoro di Alessandro Roma. «Sono stati lavati a mano, curati – aggiunge Biolchini –. Sono opere che ormai fanno parte della comunità. La mostra parla dunque anche di tradizione e territorio: è uno spazio che difende da un lato l’identità