Nei giorni scorsi, lungo via XX Settembre, gli operai del Comune di Faenza hanno affisso tre copie di altrettanti stemmi della famiglia che realizzò Palazzo Laderchi, tra l’attuale angolo via XX Settembre-corso Garibaldi, del quale sono recentemente terminati i restauri degli esterni riportando a nuova luce un grande gioiello architettonico della città. Le tre formelle recentemente affisse al fianco del portone che da via XX Settembre conduce al cortile interno del Palazzo, sono le copie di bassorilievi in terracotta presenti nella facciata lungo il ‘sottogronda’ difficilmente visibili dalla strada. Per dare la possibilità a tutti di osservare da vicino l’araldica della famiglia Laderchi, dagli uffici del Settore Lavori Pubblici che hanno curato il recupero architettonico, è stato deciso di creare le copie realizzate attraverso calchi in gesso.
Le formelle, nella loro collocazione originale, per l’appunto fra i modiglioni del ‘sottogronda’ della facciata che dà su via XX Settembre, si ripetono secondo un ritmo ben preciso: stemma, aquila, stemma, orso, stemma, aquila e così via.
Come per tantissimi monumenti della città, nei pressi delle tre formelle è stato collocato un ‘qr code’ che, inquadrato con la fotocamera dei cellulari o di altri dispositivi, rimandano alla descrizione completa dei manufatti originali secondo lo studio realizzato da Maria Cristina Sintoni, faentina esperta di araldica. Di seguito la sua relazione.
Lo stemma: l’antica arma della famiglia Laderchi (di rosso, allo scaglione di verde, orlato d’argento e rovesciato) è realizzata in uno scudo lunato (dicesi di scudo ornamentale da parata dalla forma che richiama una grossa falce di luna) cimato alle sommità esterne da due teste d’aquila affrontate (che si guardano) e che rimandano all’arma inquartata dei Laderchi in seguito alla Concessione estense.
L’aquila: questa figura venne aggiunta all’antico stemma familiare per Concessione estense del 1628 (inquartato, nel 1° e 4° di rosso, allo scaglione di verde, orlato d’argento e rovesciato; nel 2° e 3° d’argento, all’aquila di nero, coronata d’oro). Nel 1591 Giovanni Battista Laderchi, insigne legista, fu segretario di Alfonso II Duca di Ferrara, poi Ministro di Cesare I Estense e fu insignito della Contea di Montalto e del feudo di Albinea nel Reggiano.
L’orso: questa figura è rappresentata nell’atto di cogliere un ramo di alloro. Lo scudo dell’arma Laderchi, in taluni casi fu raffigurato fra due rami di alloro, avente come cimiero un orso uscente e portante sulla spalla un ramo di alloro.
Sempre parlando degli esterni di Palazzo Laderchi, troviamo due di queste figure in posizioni che difficilmente qualcuno può aver notato, ma che denotano la raffinatezza del gusto di proprietari e progettisti del palazzo: nella ringhiera del terrazzo che segue l’angolo del palazzo al piano nobile, l’aquila è la figura che si ripete negli angoli in alto, mentre un orso che tiene tra le branche un ramo di alloro che poggia su una spalla, è la figura che si ripete negli angoli in basso (ne restano solo due, ma ce n’erano altri dove si vedono le fessure delle attaccaglie).
Passando agli interni del Palazzo, altre aquile si trovano al piano nobile: negli affreschi settecenteschi, ve n’è una in ognuno dei quattro angoli del vestibolo e due nel soffitto del salone (ora sede della Società Torricelliana) dove è affrescata l’arma dell’alleanza matrimoniale Laderchi-Gavardini (Ludovico di Giacomo Laderchi nato il 17 febbraio del 1751 sposò Isabella Gavardini di Pesaro nel 1770)