“L’intento della protesta, come si legge chiaramente nel nostro comunicato che diversi giornali hanno diffuso, non è rivolta alla Nott de Bisò in sè, nè all’ambiente dei rioni, eppure molte critiche ci hanno accusato di voler “distruggere le tradizioni” e di incolpare i rionali di razzismo, mentre in realtà al loro interno accolgono senza la minima discriminazione persone di ogni origine.
Le accuse di cancel culture (di voler “cancellare” la cultura romagnola) non ci sembra possano reggere dal momento che non abbiamo mai chiesto di cancellare la Nott de Bisò, anche se come collettivo militante radicale troviamo molti punti critici nella tradizione del Palio, che reitera una narrazione storica patriarcale, che crea sofferenza per animali, che ignora questioni relative all’inclusività e alla sostenibilità ambientale. In nessuna parte del nostro comunicato accusiamo le/i rionali di razzismo, ma alcune di noi sanno per esperienza che i tentativi di alzare voci di dissenso riguardo certi “usi e costumi” vengono prontamente silenziati.
Ciò che ci siamo limitate/i a chiedere è di aprire uno spazio collettivo di trasformazione, dal momento che soggettività diverse partecipano alla comunità e che da anni l’evento del rogo di un “saraceno nero come simbolo di avversità” suscita disagio e critiche da più parti. Questa ci sembra l’occasione, come abbiamo esplicitato, per iniziare un processo di confronto e trasformazione collettiva; non abbiamo chiesto che scomparisse da un giorno all’altro il Niballo, né che lo si nascondesse sotto uno strato di vernice diversa (cosa che farebbe invece la cancel culture).
La possibilità di una trasformazione porta con sé l’occasione di creare nuova partecipazione, di rinnovare momenti di aggregazione cui oggi si partecipa in modo automatico e senza pensiero, come dimostra il fatto che la maggior parte delle voci contrarie alla nostra manifestazione ha affermato semplicemente che “si deve continuare a fare così perchè si è sempre fatto così”.
Siamo state accusate/i di essere ignoranti, di non conoscere la storia, ma quella storia noi la conosciamo bene, l’abbiamo studiata anche da sole/i quando ci siamo chieste/i: “Perchè bruciamo il Niballo?”. La storia non è un monolite e oggi più che mai abbiamo la possibilità e il dovere di scoprire ciò che non ci è stato raccontato. D’altronde al sorgere improvviso della manifestazione del Palio, a metà del secolo scorso, anche “la maggioranza dei faentini […] andò mormorando che: is l’era invantë” (dall’introduzione al libro di Primo Solaroli, Niballo. Il palio di Faenza, 1970, pag. 8). Il fatto che Annibale sia un comandante cartaginese di duemila anni fa non ci sembra un buon motivo perchè le cose continuino a essere come sono sempre state. Perché i simboli non sono solo vuoti simulacri, e noi giovani che viviamo in una società fatta di immagini lo sappiamo bene. I simboli, anche quando vengono da un passato lontano, parlano nel presente.
Come mostrano le reazioni al nostro gesto, sembra esserci confusione tra molte/i faentine/i, che non sanno di preciso chi sia il Niballo (viene chiamato anche “il Saladino”), quando sia vissuto, perché venga rappresentato scuro (mentre non si sa di che colore fosse la sua pelle), e soprattutto quale possa essere l’effetto di una tale rappresentazione, non contestualizzata, agli occhi di una comunità fatta anche di persone nere, arabe, migranti o cittadine/i che vivono quotidianamente sulla propria pelle discriminazioni razziste, anche in questa città, così come in tutta l’Italia che oggi ha al governo persone che non hanno alcun problema a richiamarsi al fascismo e perseguire concretamente politiche xenofobe.
Molte risposte al nostro gesto, pacifico e piuttosto modesto, ci hanno esplicitamente invitato a “ritornarcene al nostro paese”; tuttavia le persone di Spazi Mirabal sono quasi tutte nate e cresciute in Emilia Romagna. Il fatto che chi esprime dissenso sia automaticamente catalogato come straniero da espellere dice molto su quanto sia inconsistente la nostra presunta educazione democratica. Non abbiamo bisogno di presentarci come italiane/i o non-italiane/i, di origini europee o non-europee (anche se siamo tutte queste cose) per esprimere dissenso verso tradizioni dai risvolti razzisti che avvengono ogni anno nella piazza che viviamo.
I più colti hanno ricordato che Annibale fu un invasore che fece schiavi e morti a Faenza. Questo ci dà la possibilità di ricordare anche che i più grandi sconvolgimenti inflitti alle “terre italiche” con le occupazioni straniere sono venute da invasori non africani: invasioni germaniche e daciche contribuirono alla disgregazione dell’Impero Romano d’Occidente, tra XV e XVI secolo ci furono in Italia invasioni da parte di spagnoli e francesi, tra il 1943 e il 1945 abbiamo conosciuto l’occupazione tedesca nazista. Abbiamo ancora meno consapevolezza di quando e come gli italiani siano stati a loro volta invasori, dall’espansionismo romano alla storia del Novecento in cui il colonialismo italiano ha devastato terre e popoli in Eritrea, Somalia, Etiopia e Libia, con più di un milione di morti.
Questi problemi storici di cui abbiamo poca coscienza, razzismo e colonialismo, riguardano direttamente un genocidio in Palestina che si sta consumando oggi sotto i nostri occhi, anche grazie alle armi che anche il nostro paese ha esportato e con il supporto del nostro governo. Il nostro è un invito a cambiare e intervenire di fronte alle crisi umanitarie in cui viviamo, consapevoli che anche un momento di autocritica sulle nostre “radici” può portarci a inventare modi di festeggiare che non cancellano il passato, ma immaginano nuovi futuri.
Abbiamo parlato di razzismo sistemico proprio perché anche pratiche come quella del rogo di una “simbolica persona nera”, nascoste sotto la maschera della “tradizione”, portano all’idea che va bene far subire a una popolazione un’oppressione. Questa idea la interiorizziamo perchè ci viene instillata soprattutto grazie a narrazioni e simbologie, portando quindi ad un’azione discriminatoria che diventa poi inconsapevole.
Ribadiamo che il nostro dissenso non si propone come critica sterile, per cui rinnoviamo la speranza che, in questo critico momento storico, l’Amministrazione Comunale, i Rioni, il nascente Comitato Palio Giovani e le associazioni prestino attenzione a temi antifascisti e anticoloniali e diano spazio a processi di apprendimento e trasformazione collettiva dal basso.
Ricordiamo infine che non abbiamo strumentalizzato nulla, non più di quanto sia stata strumentalizzata l’immagine di un “saraceno nero” da sessant’anni a questa parte. Ogni volta che lanciamo un messaggio, lo facciamo servendoci di qualcosa. Noi abbiamo voluto lanciare un messaggio di autocritica, di solidarietà e di pace.
Su una cosa chi ci ha criticato ha ragione: esistono cose più importanti di che aspetto ha il Niballo, e infatti noi abbiamo voluto cogliere l’occasione di un raccoglimento collettivo per richiamare l’attenzione su questioni molto importanti, che purtroppo ci sembra siano state ignorate. Con questo comunicato si chiude dunque il nostro intervento sul Niballo, mentre continua la nostra ricerca di pratiche anticoloniali e di solidarietà.”