Spadoni: De profundis per l’ospedale di Ravenna?

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12/05/2018 – L’unione delle quattro aziende sanitarie in ambito di Area vasta romagnola aveva lo scopo precipuo di razionalizzare i servizi e metterli in rete per offrire prestazioni adeguate contenendo, al contempo, la spesa pubblica. E in questo senso se l’integrazione e la rete delle collaborazioni fra gli ospedali principali di Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini sul piano degli obiettivi hanno prodotto risultati apprezzabili (senza dimenticare, tuttavia, l’aggravio di spese a carico dei pazienti), sul versante della qualità e dell’omogeneità dei singoli nosocomi resta una serie di evidenti disparità. Queste riguardano principalmente le scelte strategiche e gli investimenti in termini di professionalità e di tecnologie, più marcate sotto il profilo critico nell’ospedale di Ravenna rispetto a quelle degli altri territori romagnoli. In altre parole emerge come dato abbastanza aderente alla realtà che il Santa Maria delle croci – la struttura ospedaliera più grande della Romagna – alla fine sta pagando il prezzo più alto con un depauperamento progressivo a tutto vantaggio degli altri ospedali in cui, evidentemente, anche la politica locale è più forte e, soprattutto, conta di più. Non si tratta di una mera questione di campanile, tuttavia anche la scelta di realizzare a Cesena un nuovo “ospedale della Romagna”… e .non solo espressione di quella città rappresenta un’altra conferma del ruolo secondario e subalterno di Ravenna rispetto, appunto, alle altre realtà. E le criticità riguardano soprattutto le risorse umane, la scarsità di personale e la mancata copertura di direttori – primari nominati in pianta stabile. In particolare questi ultimi con incarichi a tempo determinato e in buona parte impegnati su più ospedali, non possono non avere difficoltà oggettive sul piano organizzativo, programmatico e decisionale non potendo, tra l’altro, puntare su una progettualità a lungo respiro né tantomeno potendo fare leva su una pianificazione organica. E la causa è imputabile principalmente al tipo di “incarico provvisorio” che in qualche misura limita l’autonomia decisionale e programmatica del professionista facente funzione di primario. Sull’argomento basta citare a titolo di esempio due casi indicativi come la Medicina generale con 144 posti letto, un solo medico per la notte e una mole di lavoro senza paragoni per il personale guidato da un valido professionista ma con una pianta organica senza primario. Per non parlare della cardiologia classificata come eccellenza interventistica di riferimento per Ravenna e l’Area vasta affidata ad un primario incaricato che si divide fra Rimini e il nostro ospedale. D’atra parte è abbastanza normale che in un’organizzazione complessa come quella sanitaria esista qualche criticità, ma è più difficile accettare, invece, la perdurante mancanza di soluzioni delle stesse, quasi a dimostrare la volontà di non dare risposte concrete cercando di eludere le questioni e di rinviare ogni decisione.