“Siamo sicuramente di fronte a una crisi idrica che in certe aree del paese, come la pianura padana, è una vera emergenza. E siccome in passato questo non è mai stato percepito come un problema, la situazione va affrontata anche puntando a un cambiamento culturale nell’opinione pubblica”. Lo ha detto il Sottosegretario On. Alessandro Morelli durante la conferenza stampa alla sede di Utilitalia, che ha messo in evidenza la situazione in controtendenza di Romagna Acque: l’azienda pubblica che gestisce la risorsa idropotabile della Romagna, e la cui fonte principale -l’invaso appenninico di Ridracoli – in questi giorni è al colmo.
“Per la prima volta – ha aggiunto l’on. Morelli – stiamo cercando di costruire una cabina di regia che sia di collegamento e faccia lavorare insieme i tre ministeri direttamente interessati: Infrastrutture, Agricoltura e Ambiente. Questo per dare via a misure sia di risposta emergenziale, alle quali servirà anche la figura di un commissario ad hoc, sia a misure di prospettiva a lunga scadenza. Per queste ultime sarà importantissimo il costante confronto con tutte le componenti del paese che si occupano di questo settore, e per le quali garantiamo massima apertura. Dunque, sono necessari un percorso in emergenza e un approccio pluriennale a 360 gradi. Stando attenti a non sfruttare troppo le falde, che rappresentano il nostro conto in banca: un piccolo capitale al quale possiamo rivolgerci ogni tanto per qualche ritocco, ma che non possiamo sicuramente utilizzare oltre misura”.
“Il tema principale rispetto alla siccità è quello di riuscire ad avere un approccio non soltanto emergenziale – ha detto invece l’On Chiara Braga, capogruppo PD alla Camera, presente a sua volta alla conferenza stampa -. Il Pnrr prevede una quota significativa al riguardo, ma c’è un po’ di preoccupazione per il rischio di ritardi e incertezze nello sviluppare rapidamente gli investimenti. E per quanto riguarda gli invasi, oltre a riqualificare e sviluppare alcune nuove progettualità, occorre attuare un piano di piccoli invasi anche a servizio dell’uso agricolo, sempre all’interno di una riflessione che tenga presente gli obiettivi del Green Deal europeo e le politiche di adattamento ai cambiamenti climatici.”
E Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia, l’associazione ospitante, ha dato la disponibilità della realtà che presiede a collaborare attivamente al dibattito sul tema.
“Le città consumano il 70% dell’energia, l’80% del cibo, emettono oltre il 75% di gas serra ed occupano solo il 3% della superficie del pianeta. I centri abitati ospitano metà della popolazione terrestre ed emettono quasi l’80% di gas serra”. Lo ha detto Tonino Bernabè, presidente di Romagna Acque.
“Per questo la buona gestione delle risorse naturali e la programmazione per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici sono fondamentali”.
In Italia si riesce a trattenere solo l’11% dell’acqua piovuta (si disperdono gli ulteriori 270 miliardi di metri cubi). Si continua ad affrontare questo problema sempre sul piano della buona gestione o dell’eccezionalità, ma i fenomeni siccitosi tendono a ripetersi con tempi di ritorno sempre più rapidi (2002, 2007, 2011 e 2012, 2017, 2022, 2023). Si passa da piogge intense a lunghi periodi di siccità e si trattano le due facce della stessa medaglia, nello stesso modo, evidenziando esclusivamente che entrambi i problemi sono causati dal cambiamento climatico. Non si trattiene l’acqua a monte e non si proteggono i territori a valle dagli eventi alluvionali. Parimenti non si protegge la costa dalla subsidenza. La riduzione del 50% della neve caduta nelle Alpi non favorisce il fatto di trattenere acqua allo stato solido attraverso la coltre di ghiaccio sotto i quattromila metri di altezza. Così l’acqua corre più velocemente a valle alzando il livello del mare, mentre la subsidenza e l’antropizzazione dei terreni (sempre meno permeabili, per effetto del consumo di suolo urbanizzato) fanno il resto.
“Oltre a non trattenere l’acqua a monte – continua Bernabè – c’è anche chi ipotizza di dissalarla a valle: con impianti di tipo industriale, energivori, impattanti sul piano ecologico, per il rilascio di salamoia in concentrazione e che non può essere riutilizzata dentro processi di tipo industriale.
Tutto ciò evidenzia un paradosso nell’approccio contraddittorio e non lineare al problema. La Romagna, prescindendo dal problema siccità, ha saputo, nel tempo prevenire e governare il problema acqua, diversificando le fonti di approvvigionamento messe in connessione mediante infrastrutture, impianti e condotte di adduzione primaria a garanzia della continuità del servizio idrico”.
Grazie alle ultime precipitazioni, la diga di Ridracoli, sull’Appennino forlivese, è giunta a sfioro. La diga rappresenta la principale fonte idropotabile del territorio (fornisce in media circa la metà del fabbisogno annuo, che complessivamente è di circa 110 milioni di metri cubi): la tracimazione, oltre alla bellezza dello spettacolo – evento che non si verificava da un paio d’anni – rappresenta un’evidente controtendenza con quanto accade in questo periodo nel resto della pianura padana.
In realtà, anche nella scorsa estate la Romagna non ha dovuto subire restrizioni dal punto di vista della risorsa idropotabile, nonostante la crisi in particolare del Po (dal quale si alimenta un’altra delle fonti principali della rete romagnola, il bacino ravennate della Standiana, grazie a una derivazione del CER il Canale Emiliano Romagnolo): questo in virtù di una integrazione fra le varie fonti (Ridracoli, Standiana, altre fonti superficiali e acque di falda) su cui la Società ha investito molto negli ultimi anni.
“Per ovviare però a probabili surplus di richiesta negli anni futuri (anche a causa dei cambiamenti climatici e della variazione delle precipitazioni) – ha concluso Bernabè -, sarebbe fondamentale riuscire ad accumulare maggiormente l’acqua piovana. Per questo Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A., ha da tempo avviato una serie di riflessioni a livello politico, amministrativo e tecnico, su scala locale, regionale e nazionale; e ha fatto realizzare al DICAM (Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali) dell’Università di Bologna, una serie di studi territoriali approfonditi per individuare un’area appenninica in grado di contenere un nuovo invaso di medie dimensioni, da circa 20 milioni di metri cubi, che possa garantire la sicurezza idropotabile aggiuntiva per i decenni a venire”.
Alla conferenza hanno partecipato anche Armando Brath, presidente Associazione Idrotecnica Italiana, e Rosella Caruana, segretario Itcold.