Pubblichiamo la riflessione arrivata in redazione di un utente, Tiziano Mazzani, animatore culturale della città, frequentatore della biblioteca Classense, dove, spesso, nelle giornate di questo inverno, è possibile incontrare persone senza fissa dimora ripararsi dal freddo:
“Non voglio parlare della povertà culturale che attraversa le falde e viene in superficie in questo paese, i dati parlano da solo.
Voglio invece scrivere da persona e non utente che va alla biblioteca Classense, spesso durante la settimana.
Dove incontro uomini, adulti la maggior parte tra i 40 e 50 anni, che vengono in biblioteca a ripararsi dal freddo, a dormire al caldo, sia sulle sedie che sulle poltrone. Ci vuole più solidarietà da parte delle famiglie; è stato chiesto religiosamente e laicamente ed è vero che c’è una rete capillare di aiuto per chi è in povertà, per chi dorme all’esterno, verso chi ha bisogno di un pasto e per chi riesce faticosamente a lavarsi. Spesso capita che, anche nei bagni della biblioteca, le persone senzatetto e senza dimora e a volte senza tutela, si lavino alla meno peggio.
La domanda che mi faccio è come essere umano.
Rispetto a queste persone, cosa mi dico, che non dovrebbero stare lì?
In quel luogo non dovrebbero russare, non dovrebbero puzzare. Domande da perbenista, insofferente alla loro presenza? Non credo che sia questo, credo che si evidenzi il dramma di chi è sempre più in difficoltà, di come sia difficile la convivenza tra persone cosiddette normali, che si sentono dalla cosiddetta parte giusta. Chissà poi se sarà così?
E quanto invece manchi in proporzione ai problemi che ci sono, una rete di copertura, non solo assistenziale, ma capace di dare forza e dignità, slancio del vivere a queste persone, per ritrovare una parte di sé, una dimensione di possibile diritto di cittadinanza e di uguaglianza e di speranza, a queste persone che si trovano in rifugio anche presso la biblioteca.
Perché i muri tra le persone si costruiscono anche in condizioni di questo genere, dove albergano le povertà che danno fastidio e a volte percepiti a volte sentiti come barriera di relazione, per un possibile scambio reciproco.Bisognerebbe, fra tante difficoltà e pregiudizi, non solo solidariezzare, ma provare insieme a superare e cambiare questa situazione cosiddetta marginale.
Certo, è anche un interrogativo che tocca le nostre sensibilità umane, o la nostra non capacità fino in fondo di accettare le difficoltà altrui, o i troppo diversi da noi e di non perseverare dentro una pietas che ci assolve o ci giustifica, perché loro sono uno specchio e in questo specchio, ognuno ci si può riflettere e quando ci si riflette ci si può anche prendere paura di sé stessi”.