La storia di Faenza continua a rivelare sorprese incredibili. Lo annuncia il professor Michele Orlando (docente all’Istituto Tecnico Oriani), che ha identificato nella Biblioteca Capitolare e Colombina di Siviglia un prezioso poema epico cavalleresco, dal titolo «Le battaglie date a Faienza dal duca Valentino», la cui lunghezza in 120 ottave consente di restituirci pagine evocative della fierezza di una città che ha combattuto fino alla fine per tenersi stretti i suoi Signori.
Un primo studio dell’opera apparve nel 2006 nella ‘Revista Borja’, a cura di Alessio Bonafé, Júlia Benavent, María José e Bertomeu Masiá. Pur tentando di rintracciarne la paternità, i risultati non sono stati convincenti, lasciando così all’anonimato il suo autore. Tuttavia la discussione resta aperta intorno ai nomi di Pier Francesco Sperulo di Spoleto, Giovan Battista Orfino da Foligno o addirittura il nome di Cesare Borgia, congettura in ogni caso scartata: lo stesso duca Borgia, infatti, avrebbe potuto eccezionalmente commissionare il poema per diffondere l’immagine di un guerriero spietato in battaglia e misericordioso dopo la vittoria.
Il poema termina con l’ingresso in città del Valentino nell’aprile del 1501, dopo aver condotto il lettore, tra suggestivi squarci descrittivi, dalle sponde del vicino fiume Lamone alle zoomate sulla città, sfruttando la tessera storico-antiquaria che nobilita il luogo in cui avvengono i fatti militari e puntellando con abile e crudo realismo i versi delle ottave, che corrispondono alle varie fasi dell’assedio. I personaggi citati sono reali. Insieme ad Astorre Manfredi ci sono il Conte Bernardino, Carlo da Pisa, Antonio di Fiorino da Cotignola, Marchion di Pontremoli e Marcantonio di Siena; ma non manca, per esempio, tra i luogotenenti del Valentino, Michelotto Corella, che spicca sia per la fiducia personale che per la competenza nel governo delle truppe. Il poeta gli concede persino l’onore dell’arringa in nome di Cesare prima del combattimento. Non mancano tratti frequenti in cui la scrittura si fa enfatica, come nel caso che vede il Valentino alla guida di cinquantasei unità di artiglieria, quindicimila soldati di fanteria, soldati svizzeri, spagnoli e transalpini.
Il poema racconta di come il duca Cesare invii un messaggero in città invitandola ad arrendersi e a lasciarsi guidare docilmente dalla nuova guida. I faentini, decisi a resistere, prima si affidano a Dio, poi si armano e infine nascondono gli oggetti d’arte e di valore, un tratto, questo, che offre spunti di ampia discussione oggi, alla luce dei fatti recenti che hanno riguardato i beni della comunità. Ed è qui che la città sfodera tutto il suo indiscutibile attaccamento alla signoria e, per suo tramite, alle antiche prerogative comunali, che l’hanno resa nei secoli altèra e spregiudicata.
I poemi popolari cavallereschi, quindi, di cui l’Orlando Furioso dell’Ariosto è la più grande espressione colta, ebbero un’enorme diffusione in Romagna e in genere in area padana. C’è ragion sufficiente per pensare che nell’esercito del Valentino ci fossero anche alcuni poeti, come lascia intendere la circolazione fulminea del poema, sicuramente prima della morte di Astorre Manfredi nel 1502, fatto che vuole indicare anche il particolare interesse per la diffusione di tali argomenti, che inseriva in un contesto politico e culturale complesso finanche la celebrazione dell’immagine del Borgia quale duro guerriero in battaglia, invincibile, paragonabile a un imperatore, che «fece piantar colubrini e canoni / e falchonetti per dar penitenza / ale diffese ali franchi campioni / e cominciorno a bombardar Faienza / romper le mura repari e torrioni / sì crudelmente i canoni scochavano / che Jove e li altri dei in ciel tremavano», ma che si mostra anche misericordioso e magnanimo dopo la vittoria. In questo senso, è chiaro che la parte meno magnanima venga risparmiata al lettore, cioè la morte del duca Astorre a Castel Santangelo nel giugno 1502, addolcita a tal punto che «Cesar vedendo el signor amoroso, / sì li fece infinite chareze: / d’oro vestillo, tutto sontuoso, / e dègli un bel corser con gran richeze, / quel che seguite poi de tal signore, / Idio lo sa, me ne scopia el core».
Sul numero di riproduzioni del poema non sappiamo nulla, ma consideriamo che per un best-seller come l’Orlando innamorato del Boiardo, nell’anno 1495 furono eseguite 1.250 copie, e quella della prima edizione dell’Orlando furioso del 1516 ebbe una tiratura di 3.000 copie. È evidente che l’interesse per poesie di tipo cavalleresco, rime, canzoni, canti o libretti di battaglia che i torchi tipografici producono senza sosta, sia anche giustificato per la diffusione nella società di una cultura militare molto precisa, esposta com’era a guerre incessanti che non hanno sminuito il gusto per queste narrazioni, anzi, sembrano averlo amplificato.
I versi appaiono senza data o luogo di stampa, ma la consultazione dei fondi dei tipografi dei primi anni del Cinquecento permette di identificare in Eucario e nel nipote Marcello Silber, attivi in Campo dei Fiori, gli stampatori che li pubblicarono. A distanza di oltre 520 anni, una versione digitale del poema potrebbe ritornare in dotazione della Biblioteca Manfrediana, la cui Direttrice, Daniela Simonini, messa al corrente da Orlando, non è riuscita a trattenere il suo entusiasmo affinché si possa ottenere la copia del poema direttamente da Siviglia.