“Un concerto alla Reggia di Caserta è una combinazione di musica, natura, scultura, arte, bellezza: le ragioni per cui l’umanità dovrebbe esistere”: parola di Riccardo Muti, che domenica 17 gennaio, alle 21.15, è su Rai 5 con la sua Orchestra Giovanile Luigi Cherubini con il concerto registrato nel teatro di corte della Reggia in assenza di pubblico. L’esecuzione de Le sette ultime parole di Cristo sulla croce di Franz Joseph Haydn sarà preceduta da un breve intervento di presentazione di Massimo Cacciari, che proprio con Muti ha recentemente pubblicato per la casa editrice il Mulino una conversazione dedicata all’opera di Haydn e alla Crocifissione di Masaccio esposta al Museo di Capodimonte. Il concerto, presentato da RAI Cultura in prima tv, è una produzione della Regione Campania attraverso SCABEC (Società Campana Beni Culturali) in partnership con Ravenna Festival, RMMUSIC e la collaborazione della direzione della Reggia di Caserta MiBACT.
Per la prima volta Muti dirige nel teatro della Reggia, piccolo gioiello di ori, stucchi e velluti dove gli era stato conferito, nel 1998, il premio internazionale Vanvitelli, riconoscimento per personalità del mondo dell’arte e della cultura: “questo è un luogo unico che chiamare teatrino è riduttivo. Anche l’acustica è straordinaria – ha sottolineato il direttore – raramente nel mondo, anche nelle grandi e sofisticate sale europee e americane, ho trovato un’acustica così perfetta dove i suoni si riproducono in maniera naturale. In questa sala meravigliosa si ripresenta l’emozione di essere immersi tra la storia e la bellezza, come è stato a Paestum”. A luglio la Cherubini e Muti erano infatti nel Parco Archeologico per l’Eroica di Beethoven in programma per il secondo concerto, dopo quello di Ravenna, dedicato alla Siria nell’ambito dell’annuale progetto di Ravenna Festival Le vie dell’Amicizia.
È il 1786 quando un canonico della cattedrale di Cadice, nella Spagna meridionale, commissiona ad Haydn, per le celebrazioni del Venerdì santo, una sorta di meditazione musicale adatta a commentare le ultime sette frasi di Cristo sulla croce. Per tutto il Settecento quei passi evangelici erano stati più volte posti in musica, ma certo Haydn è il primo a tradurli in puro suono, indicandoli sì in partitura, quale monito, sotto le note dei violini primi, ma tralasciandone completamente l’intonazione vocale. Il maestro di Esterháza sottrae la parola divina alla voce per affidarla alla sola orchestra, conferendole una dimensione sacra e ineffabile. Così prendono forma sette Sonate, precedute da un’Introduzione maestosa e chiuse da un Terremoto irto di dissonanze e trilli, a richiamare il fragore tellurico che dopo la Crocifissione sconvolse il Calvario; una sequenza di movimenti lenti, dal Largo all’Adagio al Grave, che sfuggono al rischio della monotonia grazie a un uso accorto del materiale tematico e all’esplorazione dell’intera tavolozza ritmica, timbrica e armonica.