La Rete Nazionale Scuola in Presenza, che rappresenta decine di migliaia di genitori, insegnanti e studenti che da ogni parte d’Italia partecipano attraverso decine di comitati locali, fra i quali anche Ravenna, protesta contro il nuovo Decreto Scuola emanato dal Governo:
“Ancora una volta si stabilisce che in zona rossa ed arancione a determinare la chiusura delle istituzioni scolastiche siano i Sindaci o i Governatori di Regione i quali, nel corso dell’anno scolastico appena trascorso, hanno arbitrariamente chiuso le scuole non già e non sempre sulla base di dati epidemiologici reali, bensì sulla base di criteri di epidemiologia difensiva e precauzionale non supportata da evidenze scientifiche. Abbiamo più volte denunciato come in varie Regioni Italiane, in particolar modo Campania, Puglia, Emilia Romagna e Umbria, ci sia stata una reiterata volontà di negare il diritto all’istruzione agli studenti anche quando la situazione epidemiologica avrebbe permesso la possibilità di frequentare in presenza.
Ciò ha portato un’evidente disparità di trattamento tra gli studenti di aree e regioni differenti, disparità nuovamente certificata per legge “grazie” al nuovo DL”.
Per il collettivo queste procedure non sono più accettabili
“L’Oms ha definito lo stato di salute “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia”: in questo senso le nostre ragazze e i nostri ragazzi hanno subito gravi danni psicologici dovuti all’esclusione dalla società come riportano alcuni reparti di psichiatria infantile dei maggiori ospedali italiani.
Sappiamo altresì, grazie allo studio della Professoressa Sara Gandini e del suo team, che la scuola è uno dei luoghi più sicuri, come sappiamo che le ripercussioni a livello psichico/sociale/didattico derivanti dalla chiusura sono devastanti sulla popolazione scolastica, e sono stati già segnalati da Oms, Unicef e Save the Children.
Riteniamo che la continua chiusura delle scuole, soprattutto nelle regioni sopracitate, abbia portato un divario consistente nell’acquisizione delle competenze base non solo tra studenti italiani ma anche tra studenti italiani rispetto agli studenti europei (come dimostrano gli ultimi dati INVALSI) e che questo nei prossimi anni avrà forti ripercussioni economiche sul nostro Paese.
Secondo l’Oms, “la chiusura delle scuole deve avvenire solo come extrema ratio e solo quando tutti gli altri esercizi sono stati chiusi”.
L’opzione di chiusura non andrebbe insomma considerata se non in condizioni di estrema sopraffazione del sistema sanitario (cosa che non dovrebbe verificarsi data la vaccinazione dei soggetti a rischio) e solo quando tutto il resto della società viene chiuso.
Anche l’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) ha ribadito che la chiusura delle scuole deve essere l’ultima risorsa, perché “l’impatto negativo sulla salute fisica, mentale e sull’istruzione dei ragazzi non è giustificato dai benefici”.
La scelta del nostro Legislatore risulta dunque, per l’ennesima volta, non proporzionata (non
rappresentando l’extrema ratio), atteso che, prima del sacrificio imposto al diritto all’istruzione, sancito da fonti di rango primario, andavano valutate misure alternative o una seria riprogrammazione dei trasporti.
La misura non è proporzionata sotto ulteriore profilo, in quanto viene eroso lo stesso nucleo del diritto all’istruzione, il quale presuppone l’apertura e accesso fisico agli edifici scolastici capillarmente presenti sul territorio (Affaire linguistique c. Belgio n. 1474/62; G.C., Catan c. Russia n. 43370/04; Mehmet c. Turchia n. 47121/06).
Ciò è confermato dalla Risoluzione del Parlamento Europeo in data 13/11/2020 (2020/2790), in cui si ribadisce la necessità che le misure di lotta alla pandemia siano tali da non far venir meno la continuità e l’accessibilità dei corsi scolastici.
noltre, è ormai dimostrato dall’evidenza scientifica quanto la scelta del Legislatore si sia rivelata ininfluente ai fini del contenimento dell’epidemia, non avendo la chiusura delle scuole contribuito all’abbassamento dei contagi. Anzi, in Campania la curva ha cominciato a salire proprio in corrispondenza della prima chiusura delle scuole, lo scorso 25 settembre.
Il DL in questione, nel consentire la misura della chiusura delle scuole, realizza un’indebita compressione del diritto all’istruzione.
E ciò in palese violazione del principio, più volte ribadito dalla Consulta, secondo cui il bilanciamento tra diritti costituzionali (nel caso di specie tra tutela del diritto alla salute ex art. 32 Cost. e diritto all’istruzione ex art. 34 Cost.) deve “rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro” (Corte Cost., sentt. nn. 63/2016 e 58/2018).
In primo luogo, non è rispettato l’art. 34 Cost., secondo cui “la scuola è aperta a tutti”.
La Costituzione stabilisce infatti che lo stesso debba poter essere esercitato nel luogo che intrinsecamente gli appartiene: un luogo “aperto”, al tempo stesso luogo fisico ma anche di relazioni e di comunità.
Il principio è stato chiaramente ribadito dalla Corte Costituzionale, la quale riconosce che “Statuendo che “la scuola è aperta a tutti”, e con ciò riconoscendo in via generale l’istruzione come diritto di tutti i cittadini, l’art. 34, primo comma, Cost. pone un principio nel quale la basilare garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali … trova espressione in riferimento a quella formazione sociale che è la comunità scolastica” (C. Cost. n. 215/1987).
In secondo luogo, viene violato il fondamentale principio per cui la Scuola rappresenta uno dei pilastri portanti della forma di Stato sociale di cui all’art. 3 Cost. ed è rivolta a rendere effettivo il principio di uguaglianza sostanziale.
La scuola, quindi, è anche – e soprattutto – contesto di sviluppo della personalità, nel segno dell’inclusione.
Continuare a rendere legittimo per legge, un così ampio ricorso alla didattica a distanza, mediante l’utilizzo di strumenti digitali, di fatto vanifica questo tipo di obiettivo, se solo si considera che non tutti gli studenti hanno avuto accesso a strumenti e spazi adeguati a garantire loro la continuità della frequenza scolastica (cfr. Rapporto ISTAT 2020, par. 3.3.1).
Non riteniamo accettabile quindi che la chiusura delle scuole sia ancora demandata alla scelta discrezionale delle autorità locali.
La Rete Nazionale Scuola in Presenza chiede pertanto che il Ministero dell’Interno e Anci vigilino su questa decisione presa dal Governo e che lavori al fine di poter tenere aperte le scuole sempre e per tutti i gradi d’istruzione attraverso la richiesta di efficaci protocolli di tracciamento, unica arma davvero efficace per contrastare il contagio.
Chiediamo che gli amministratori locali, da sempre più vicini alle esigenze dei cittadini, si pongano a difesa dei minori che sono stati e continuano ad essere i più colpiti dalla pandemia in termini di perdita di diritti e di sovraesposizione al rischio di malattie mentali.
La Rete nazionale Scuola in Presenza si fa carico, da quasi due anni, della gestione dei disagi delle famiglie, incoraggiandole a ragionare e partecipare a una gestione condivisa di una pandemia che ha travolto non soltanto loro ma anche e in prima battuta le Istituzioni. La Rete ha svolto, di fatto, ruolo di ammortizzatore sociale, specialmente in alcune Regioni – non necessariamente del Sud Italia – dove le spinte alla protesta si fanno sempre più impetuose e le intenzioni di ricorrere in giustizia sempre più frequenti. Per tale motivo, la Rete esorta il Ministro degli Interni a convocare un Tavolo per condividere ogni decisione riguardi le vite dei singoli cittadini e soprattutto dei minori prima dell’inizio ufficiale dell’anno scolastico”.