Nella notte fra venerdì 6 e sabato 7 agosto, alle 00.15, gli schermi di RAI 1 accolgono una volta ancora Le vie dell’Amicizia, lo speciale progetto di Ravenna Festival che quest’anno ha visto l’Armenian State Chamber Choir unirsi ai musicisti dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini per due concerti, a Lugo (Ravenna) ed Erevan, diretti da Riccardo Muti. È infatti da sempre il gesto generoso di Muti a guidare artisti italiani e stranieri negli indimenticabili concerti-pellegrinaggio che dal 1997 visitano luoghi simbolo della storia antica e contemporanea. Con la trasmissione del concerto al Pavaglione del 1° luglio si rinnova anche quest’anno la collaborazione con RAI 1, che percorre Le vie dell’Amicizia al fianco del Festival sin dalla nascita del progetto. Per il programma musicale – l’Incompiuta di Schubert e pagine sacre di Haydn (il Te Deum), Mozart (il Kyrie in re minore K. 341) e di nuovo Schubert, con la Messa n. 2 in sol maggiore D. 167 – si sono uniti a coro e orchestra anche il tenore Giovanni Sala e gli armeni Nina Minasyan e Gurgen Baveyan, rispettivamente soprano e baritono.
Vent’anni dopo il primo concerto a Erevan – nel 2001, in occasione dei 1700 anni del Cristianesimo in Armenia – il Festival ha scelto nuovamente il “regno delle pietre urlanti”, come l’ha descritto il poeta russo Osip Mandel’stam, come propria destinazione nella mappa di fratellanza che negli anni ha toccato città quali Sarajevo, Beirut, Gerusalemme, Mosca, New York, Nairobi, Teheran, Kiev, Atene…e, nel 2020, nel Parco Archeologico di Paestum, gemellato con il sito di Palmira, per ricordare il popolo siriano. Mentre vent’anni fa il programma che univa italiani e armeni era interamente verdiano, il 1 luglio l’impeto celebrativo che pervade il Te Deum haydniano ha riassunto lo sguardo fiducioso i concerti dell’Amicizia vogliono rivolgere al futuro, un gesto di solenne gioia e speranza. Quella speranza, oggi più che mai necessaria, che trova espressione compiuta nella musica sacra, al di là di ogni credo o dottrina; quella speranza che, intrecciando il quotidiano desiderio del singolo con l’universale anelito al bene, risuona appunto nella religiosità serena e razionale di Haydn. Ma anche nella scrittura densa di sfumature cromatiche e nella strumentazione opulenta del Kyrie di Mozart, detto “di Monaco” perché in quella città composto. E innerva la Messa del giovane Schubert scritta, si dice, in soli sei giorni, eppure nel timbro delicato e dolce capace di richiamare ognuno al raccoglimento più intimo.