Un muratore di origine romena di 52 anni, Vasile Burcut, venerdì 4 febbraio è morto cadendo da un ponteggio di un cantiere edile, una morte sul lavoro che è stata fatta passare sotto silenzio per 48 ore!
Ora ci stringiamo al dolore della sua famiglia. Ma serve una mobilitazione permanente e incisiva per contrastare la strage infinita nei luoghi di lavoro. Le denunce e le indignazioni non bastano. I morti sul lavoro sono aumentate del 16% nell’edilizia e il via libera a questa corsa ai profitti, alla “legale” violazione delle norme di sicurezza, alla liberalizzazione degli appalti, l’ha data il governo Draghi. Cosa ha portato? verso fine anno ci sono stati, in un giorno, 3 morti e tre feriti in un cantiere a Torino dove una gru è crollata schiacciando Roberto 50 anni, Marco 54 anni e Filippo 20. A Ravenna a Vasile Burcut. È questa l’altra faccia della corsa ai profitti delle imprese edili drogata dal bonus del 110% che ha alimentato un gigantesco, vorticoso ed opaco giro di appalti truccati e subappalti in cui si spremono i lavoratori con ritmi, condizioni e carichi di lavoro insostenibili.
Abbiamo bisogno di unirci in una Rete nazionale per difendere la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e nei territori.
Nel 2021, in Italia, sono morti 1404 lavoratori sui posti lavoro, con un aumento del 18% rispetto all’anno precedente. E in questo dato non sono conteggiati i lavoratori deceduti per infortuni da Covid. Ogni anno 4 lavoratori, ogni giorno, muoiono sul lavoro.
Mai come in questo caso la parola “guerra” è il termine più appropriato per descrivere questa realtà, propria di questo sistema fondato sul profitto dei padroni, con operai morti, feriti, mutilati, invalidati in maniera permanente!
Gli operai sono costretti a lavorare in condizioni a rischio della propria vita, della propria salute e sicurezza, perchè non hanno alternative, perchè o ti mangi questa minestra o perdi anche quel salario sempre più basso. Gli assassini sul lavoro sono la diretta conseguenza del fatto che sempre più i padroni ottengono tutto e i lavoratori non ottengono nulla.
I governi fanno leggi per i padroni, in parlamento nessuno difende gli interessi e la vita degli operai, dai Tribunali dei padroni escono sentenze solo favorevoli all’impunità dei padroni.
Diciamo spesso che l’unica giustizia è quella proletaria, ma cosa possiamo fare per quest’obiettivo?
Abbiamo bisogno di unirci in questa lotta, non possiamo stracciarci le vesti ogni volta dopo l’ennesima morte sul lavoro. Gli omicidi padronali sui luoghi di lavoro non possono essere uno dei tanti punti che mettiamo nelle nostre piattaforme rivendicative! Dobbiamo rispondere e organizzare questa lotta su un terreno specifico.
I padroni continuano a fare profitti record. La Marcegaglia nel 2021 ha un fatturato record di 7 miliardi, i profitti del gruppo sono cresciuti del 50 percento rispetto al 2019. Gli operai degli stabilimenti italiani riceveranno un premio medio superiore a mille euro.
Ma quei fatturati record i padroni li hanno fatti sulla pelle degli operai! Alla Marcegaglia è continuo il rischio-sicurezza, a Ravenna infatti l’ultimo omicidio sul lavoro è del 15 luglio dello scorso anno. C’è stato uno sciopero spontaneo per la morte sul lavoro di Hysa Bujar, che era un operaio esperto, non l’ultimo arrivato, lavorava negli appalti: l’ennesima morte annunciata dalle tante segnalazioni degli operai sul rischio-sicurezza per come vengono posizionati nelle selle i coils, per la mancanza di spazi di manovra all’interno del reparto, per i l’intensità dei ritmi di lavoro, per il sistema degli appalti per comprimere sempre di più i salari e negare i diritti. Denunce inascoltate e confederali complici che, attraverso gli accordi e la complicità con i vertici aziendali, mettono a rischio la vita degli operai.
Ma quello sciopero cosa ha prodotto? L’ennesimo tavolo di confronto con la Marcegaglia per definire un protocollo sulla sicurezza di tutti lavoratori; la proposta di costituire un coordinamento di sito dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) che comprenda anche i lavoratori in appalto; un Incontro in Prefettura per sollecitare l’intervento delle istituzioni.
Limitarsi alle denunce, contare incidenti e morti operaie tramite un “Osservatorio”, delegare a Istituzioni (Ausl, Sindaco, Prefetto) oppure a politicanti che mai si sono fatti vedere davanti ai cancelli ad organizzare le lotte a difesa della vita degli operai è una linea perdente. Ci siamo infilati nell’ennesimo vicolo cieco che non porta a risultati.
Dopo la morte di Luana D’Orazio perché un padrone ha manomesso il macchinario c’è stata una grande indignazione ma qualche mese dopo, a Modena, è rimasta schiacciata da un macchinario Layla El Harim.
Nella scuola al servizio dei padroni è morto Lorenzo Parelli, ucciso in un cantiere, sfruttato in uno stage, in orario scolastico nell’alternanza scuola-lavoro e le mobilitazioni studentesche che ne sono seguite sono state pesantemente caricate dalla polizia di un governo che, come tutti i governi, sono lì al servizio dei padroni.
Occorre partire dall’unità delle realtà che si battono concretamente nei luoghi di lavoro e portare la lotta sul piano nazionale, intervenire nei luoghi dove avvengono gli omicidi sul lavoro per dargli una visibilità al livello nazionale e superare la rassegnazione che avviene sempre dopo, quando si spengono i riflettori. Dobbiamo promuovere una larga aggregazione di energie che si rendano protagoniste per condurre una battaglia di civiltà contro la barbarie della guerra quotidiana dei padroni assassini.
La lotta contro le morti sul lavoro e la lotta contro precarietà, cassintegrazione, attacco al diritto di sciopero, la rappresaglia padronale e poliziesca, sono tutte lotte che attaccano la radice del modello di produzione capitalistico. Se c’è ancora chi pensa che queste lotte si possono fare solo in ambito aziendale o solo a livello territoriale, ci deve dimostrare con i fatti che così i lavoratori possono portare a casa dei risultati.
Questa lotta dev’essere strappata di mano ai confederali e condotta su posizioni di classe che sono inconciliabili con quelle dei padroni, dobbiamo costruire il potere dal basso degli Rls, formando una lista di operai che intendono metterci la faccia e il proprio impegno, indipendentemente dalle tessere sindacali e votati da tutti i lavoratori del sito così da avere un mandato forte che risponde ai lavoratori e non alle RSU o RSA o ai capi.
Il controllo della produzione, l’ispezione senza preavviso, il potere di prendere decisioni immediate che fermino la produzione in caso di rischio-sicurezza per la vita degli operai, devono tornare in mano agli operai!
Abbiamo bisogno di postazioni permanenti di nuclei di ispettori e presidii sanitari nelle fabbriche e nelle zone industriali, nelle campagne, per un intervento continuo e preventivo, con un rapporto costante con lavoratori e Rls.
Poi ci sono i processi che dobbiamo considerare come parte di questa guerra e che richiedono una mobilitazione.
È ora di approvare una legge contro gli omicidi sul lavoro! È ora di bastonare davvero chi manda i lavoratori al macello perché non rispetta le più elementari norme di sicurezza!
La sola lotta aziendale e sindacale non basta.
Dobbiamo contrapporre lotta, unità, organizzazione, una campagna sul terreno nazionale a partire da chi già la sta facendo, aggregando via via sempre più realtà nell’impegno diretto, ben sapendo che 4 operai morti sul lavoro al giorno sono il prodotto di un sistema di produzione basato sul profitto dei padroni, e la prospettiva in definitiva non può che essere che quella di un suo rovesciamento per liberarci dallo sfruttamento e difendere le nostre vite e la nostra dignità.
La Proposta che facciamo come Slai Cobas per il sindacato di classe è quella di un confronto, di un’assemblea nazionale da organizzare tra febbraio/marzo per la costruzione di una Rete nazionale per difendere la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e nei territori.