Oggi e domani, 4 e 5 luglio, le lavoratrici e i lavoratori del porto di Ravenna sono in sciopero per il mancato rinnovo del contratto nazionale dei porti scaduto alla fine dello scorso anno. In entrambi i giorni sono previsti presidi e cortei lungo le strade portuali, con confluenza dalle 7.00 del mattino davanti alla sede della SAPIR e conclusione davanti a quella della Docks Cereali.

Dicono i sindacati che «La vertenza per il rinnovo del contratto nazionale e questa importante mobilitazione devono essere l’occasione nel territorio per discutere come le importanti risorse investite nel porto non rimangano a vantaggio di pochi, ma siano occasione di ridistribuzione di risorse nel territorio partendo da un lavoro, in tutte le sue articolazioni, garantito, di qualità, retribuito equamente e svolto nel pieno rispetto di tutte le norme sulla salute e sicurezza sul lavoro».

Ravenna in Comune è totalmente d’accordo. A prendere per oro colato quanto dichiarato lunedì scorso dalPresidente dell’Autorità Portuale, «abbiamo un futuro solido e reale davanti a noi con un miliardo di euro da poter investire». Nell’elenco degli investimenti snocciolato da Rossi, però, non figura nessuno di quegli obiettivi per cui è indetto lo sciopero e che pur sarebbero tra i compiti dell’Ente Porto: miglioramenti delle condizioni di lavoro e elevare gli standard di salute e sicurezza. Allo stesso convegno che ha originato l’intervento di Rossi ha parlato anche de Pascale. Anche lui ha confermato che il miliardo di euro andrà in tutt’altra direzione da quella richiesta da lavoratrici e lavoratori, aggiungendo anzi che si tratta di «Risorse che ci permetteranno di essere ancora più competitivi». Dove uno degli elementi della competizione costantemente avanzato dai padroni della logististica marittima (a cui il convegno Shipmag colloquia alla camera di commercio si rivolgeva) è quello della riduzione dei costi del porto e, quindi, innanzi tutto, della componente lavoro. Siamo dunque agli antipodi per quello che riguarda le rivendicazioni redistributive di lavoratrici e lavoratori.

Se ci fosse stato un qualche minimo interesse per le condizioni di lavoratrici e di lavoratori, del resto, da parte del duo succitato ci sarebbe stato qualche commento sulla fine della COFARI, principale cooperativa di facchinaggio ravennate, quella che si divideva il lavoro in porto, lato terra, con la cooperativa portuale, lato mare. Il porto cambia quanto a padroni, sia per quello che riguarda i soggetti in cui lavoratrici e lavoratori dovrebbero gestire la baracca, come nel caso delle cooperative (ed oltre a COFARI si dovrebbe parlare di CMC), sia per i padroni in senso proprio. Già abbiamo avuto modo di enumerare i venditori (Bezzi, Cirilli, Poggiali, Ravaioli, Rosetti, Trombini, Vitiello, ecc.) che hanno fatto spazio a fondi internazionali, imprese europee, statunitensi e cinesi. Ma cosa ne pensino le figure alla guida del porto e della città nel suo insieme resta un insondabile mistero. Del resto, finché a livello di porto il lavoro sarà percepito solo come un costo e la costruzione di chilometri di banchine per un presunto nuovo terminal container come un proficuo investimento, poco c’è da aspettarsi dai Rossi e dai de Pascale. Se non ringraziare il fatto che si avvicini il giorno in cui il pontremolese e il cervese lasceranno Ravenna…

Ravenna in Comune esprime totale solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori in sciopero, estendendola a tutta la filiera del lavoro, comprese quelle lavoratrici e quei lavoratori cui non si applica il contratto collettivo dei porti grazie a quella vera e propria truffa che si continua a chiamare “felice anomalia”: un porto pubblico piccolo piccolo a fronte di vastissime aree private in cui la precarietà e i sub-subappalti regnano sovrani. Con quel che ne consegue per sicurezza e condizioni di lavoro. La lotta per un porto a misura di lavoratrici e lavoratori non si esaurirà né oggi né domani.”

Ravenna in Comune