Abbiamo chiuso l’anno parlando di “botti” rammaricandoci del fatto che, come ogni anno, Ravenna sia tra le sempre meno numerose città grandi e piccole romagnole che non rinunciano a questa pessima abitudine. E questo nonostante gli abituali rischi di causare un danno ad animali e persone fragili, grandi e piccole; al rischio di infortuni per chi viene colpito; ai rischi dovuti all’uso di “fuochi” illegali. Come scrivevamo: «Ravenna e il suo Sindaco, invece, rispettano la tradizione e la tutela la riservano piuttosto a chi i botti sente la necessità di spararli».
Abbiamo così dovuto mettere in conto, dicono i giornali, la «raffica di interventi dei vigili del fuoco di Ravenna che, nella notte di capodanno, sono stati costretti a correre in diversi punti della città a causa di una serie di incendi nei cassonetti». La causa? «A provocare le fiamme, con tutta probabilità, i botti sparati per festeggiare l’arrivo del nuovo anno che hanno innescato la combustione dei contenitori e di quanto era al loro interno. Sono stati oltre una decina, per altrettanti cassonetti, gli interventi del personale del 115 che ha provveduto a spegnere le fiamme e a mettere in sicurezza le aree interessate». In tutta l’Emilia-Romagna gli interventi durante l’ultima notte dell’anno sono stati 68 in tutto: seconda regione in Italia dopo la Lombardia. Si può perciò tranquillamente affermare, senza timore di smentite, che il “tradizionale” mancato divieto del Sindaco di Ravenna ha dato un consistente contributo al secondo posto regionale.
Ci mancano invece i dati relativamente alle altre fattispecie di danno citate. Possiamo solo auspicare in un numero basso. In ogni caso, visto che si sarebbe potuto evitare (o almeno ridurre) ogni danno semplicemente imitando il comportamento virtuoso di quegli altri comuni che i “botti” invece li hanno vietati, si tratta comunque di un numero eccessivo. Augurarsi che serva di una qualche lezione a de Pascale perché assuma un diverso atteggiamento l’anno prossimo, forse, è troppo sperare. Ma la speranza è l’ultima a morire. Dicono.