La CGIL ha prima deciso in assemblea e poi formalmente lanciato e iniziato a raccogliere le firme per quattro referendum sul lavoro. I primi due sui licenziamenti, uno sul superamento del contratto a tutele crescenti e l’altro sull’indennizzo nelle piccole imprese, il terzo sulla reintroduzione della presenza delle causali per i contratti a termine; e il quarto, relativo agli appalti, sulla responsabilità del committente sugli infortuni sul lavoro. È riassunto così dal sindacato: «Il lavoro deve essere tutelato perché è un diritto costituzionale. Deve essere sicuro perché di lavoro si deve vivere e non morire. Deve essere dignitoso e perciò ben retribuito. Deve essere stabile perché la precarietà è una perdita di libertà. Per questo ti chiediamo di firmare per poter poi cancellare attraverso il referendum alcune di queste leggi sbagliate».

Si poteva fare di più, di meglio, anche prima? Sono domande giuste ma anche ripetitive, già sentite. Di certo non si è fatto prima e comunque con questi referendum non si tornerà nel lavoro al sistema di diritti conquistato a caro prezzo nel secolo scorso. Ma si tratta innegabilmente di un passo nella giusta direzione. È giusto che la CGIL l’abbia voluto e troviamo altrettanto giusto favorire in ogni modo la realizzazione di questo progetto.

Una riflessione però s’impone quando leggiamo (ed è la stessa CGIL a scriverlo) che «se passassero, questi referendum cancellerebbero il Jobs Act e tutte le storture che ha introdotto nel mondo del lavoro degli ultimi dieci anni». Perché il Jobs Act è una normativa liberista voluta da un governo liberista a guida PD. Renzi, il presidente del Consiglio che l’aveva voluto e ottenuto, non era divenuto segretario di quel partito con sotterfugi ma sulla base del voto maggioritario degli iscritti (confermato con primarie aperte). Perché la “costituzione” del PD non è quella di un partito dei lavoratori o, almeno, dalla parte dei lavoratori. È un partito capace di tessere l’elogio del liberismo, della globalizzazione e dei padroni (sotto l’etichetta delle “imprese”) persino nel proprio atto fondativo. Tutto un parlare di “competizione” e di “crescita” senza riuscire mai a trovare l’occasione per spendere due parole sulla “sicurezza del lavoro”. Che non si schiera mai dalla parte più debole, quella dei lavoratori, gli unici a morire di lavoro.

Solo così può essere possibile, che quel partito, su una questione che giustamente il maggior sindacato italiano considera fondamentale, il lavoro, adotti scelte opposte. Per il presidente del partito (Bonaccini) sulla «iniziativa referendaria – legittima, ci mancherebbe – da parte della Cgil, ciascuno è libero di firmare o meno». Così i coordinatori nazionali della sua corrente (Malpezzi e De Luca) annunciano entrambi che non firmeranno (Malpezzi: «non firmerò e penso sia sbagliato firmare»). A maggior ragione la cosiddetta Base riformista degli ex Renziani: ad es. Guerini («Al posto della Segretaria non firmerei») e Madia («Rimango contraria e sono in molti come me»). La Segretaria (Schlein) invece ha firmato. Contro la firma anche la CISL (Sbarra: «Il Jobs Act è stato una grande riforma») e il Terzo Polo per l’occasione riunito: da Calenda («gravissimo errore da parte di Schlein») a Renzi («La segretaria del Pd firma per abolire una legge voluta e votata dal Pd»).

Ravenna in Comune ha scelto, nell’atto stesso della propria costituzione, di proporsi come rappresentante delle istanze della classe lavoratrice, solo le lavoratrici e i lavoratori e non gli interessi dei padroni. Il nostro progetto si rivolge a chi ha un lavoro, a chi lo cerca e non lo trova, a chi è in pensione e a chi vorrebbe andarci, a chi va a scuola per acquisire conoscenze e non come momento di alternanza col lavoro, a chi rivendica la possibilità di vivere dignitosamente indipendentemente dal posto che occupa nella società. Non cerchiamo, come invece altri, PD in testa, di gareggiare per rappresentare gli interessi del padronato.

Per tutto questo Ravenna in Comune invita a sostenere con la sottoscrizione tutti i quesiti referendari.”

 

Ravenna in Comune