“Che l’eccellenza storica, ma oramai non più tale, della sanità emiliano-romagnola fosse a rischio commissariamento lo avevamo già scritto più di un anno fa (“In Emilia Romagna la sanità è a rischio commissariamento”, Ravenna in Comune, 16 febbraio 2022). Ed ora siamo arrivati ad un passo dal “traguardo”. “Bilancio in rosso di 75 milioni. L’Emilia-Romagna ora trema: diffida e commissariamento” si leggeva un paio di giorni fa sui giornali. La stampa scriveva che si tratta dei dati definitivi comunicati da Bologna a Roma, ossia dalla Regione al Governo. Da quanto si apprende «una cifra simile, al netto degli sforzi compiuti dalla giunta guidata da Stefano Bonaccini, comporta immediatamente una diffida del consiglio dei ministri: se entro 30 giorni l’ente non dovesse riuscire a ripianare il buco aderendo a una serie di procedure, secondo il comma 174 della legge 311 del 2004 scatterebbe il commissariamento (di solito il commissario ad acta nominato è lo stesso presidente della Regione). Il tutto con lo spettro successivo di un aumento dell’addizionale Irpef e dell’ex Irap. Per non parlare poi di eventuali tagli ai servizi. Dunque ora si aspettano le azioni di Roma, ma le carte spedite dalla Regione e dai tecnici lasciano davvero poche speranze».
Già un anno fa avevamo lanciato l’avvertimento: «Per chi non se ne fosse ancora accorto, la Sanità emiliano-romagnola è passata dal livello di eccellenza a quello di prossimità al commissariamento. Non ha impiegato poco, ovviamente, perché il livello di partenza, appunto, era molto alto. Il sistema pubblico regionale era preso a modello, giustamente, sia in Italia che all’Estero». Eccellenza che pur già aveva in sé «pecche, disorganizzazioni e sprechi». Questi limiti sono oggi sotto gli occhi di tutte e tutti. Pensiamo alla riduzione delle automediche, all’ansia che prende se si deve ricorrere al Pronto Soccorso al pensiero dell’attesa infinita, al fatto che 4 posti letto su 10 nella nostra provincia non siano più forniti dal servizio pubblico, alle lunghissime liste di attesa per riuscire ad accedere a visite ed esami, alla chiusura di ginecologia come reparto autonomo a Ravenna, alla chiusura dell’unità di terapia intensiva coronarica a Faenza e a quella del punto nascita a Lugo. Precipita conseguentemente la qualità riconosciuta anche da fuori: l’ospedale di Ravenna è collocato da anni oltre il 90° posto nella classifica dei nosocomi italiani pubblicata da Newsweek. Non manca il capitolo sprechi, naturalmente, come pure abbiamo già illustrato in precedenza prendendo spunto dalla vicenda delle 130 tonnellate di tute nuove di pacca avviate a smaltimento.
Da parte loro «Gli assessori regionali al Bilancio, Paolo Calvano, e alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, ribadiscono come non vi sia alcun rischio di commissariamento della sanità regionale rispetto alla chiusura dei bilanci 2022 delle aziende sanitarie, che sta rispettando la normale procedura prevista dalla norma vigente». Bene, tutto a posto allora? Non proprio. Se anche si dovesse scampare per il rotto della cuffia anche quest’anno il rischio commissariamento, la sanità locale resta comunque sull’orlo del baratro. Il Sindaco de Pascale certifica che: «Il sistema sta crollando. Basta avere un familiare che ne ha bisogno per sapere quale sia la situazione della non autosufficienza. Sull’emergenza-urgenza non si trovano i professionisti e si rischiano di lasciare i cittadini senza prestazioni. Azioni di risparmio di possono fare e le abbiamo fatte, ma non sono sufficienti».
Che anno dopo anno si rischi il commissariamento non consente perciò di addebitare la responsabilità al governo attuale, certo non favorevole alla sanità pubblica. Il PD, di cui fanno parte sia Calvano che Donini e de Pascale, porta la sua (enorme) fetta di responsabilità nella deriva a cui è giunta la sanità italiana e soprattutto, per quello che ci riguarda, regionale e romagnola. È il PD con tutti suoi eletti nelle istituzioni e con tutto il management con cui ha occupato la sanità ad averla affossata, con le sue politiche a favore della sanità privata, resa parte integrante del servizio sanitario attraverso convenzioni che hanno a loro volta contribuito a drenare risorse pubbliche da capitoli di bilancio sempre meno finanziati. Piuttosto che cercare capri espiatori con depistanti petizioni, si cessino immediatamente le politiche che subordinano il sistema pubblico alla sanità privata. Come Ravenna in Comune torniamo a ripeterlo: nella sanità (come negli altri servizi) il privato è il problema, non la soluzione.”