“Che la sanità pubblica sia più malata di chi dovrebbe curare è un dato empiricamente a porta di mano per chiunque abbia sperimentato l’accesso al servizio sanitario dell’Emilia-Romagna e dell’Ausl Romagna in particolare. Dei 130 ospedali italiani che figurano nella classifica internazionale stilata annualmente da Nesweek il Santa Maria delle Croci di Ravenna è stabilmente in fondo al 90esimo posto. Non è una novità: dal 2021, cioè da quando è realizzata la graduatoria, non è mai salita più in alto di così. Non rientrano certo tra le eccellenze ma vanno comunque meglio di Ravenna tutti gli altri ospedali romagnoli: Forlì è al 48esimo posto, Rimini è al 67esimo, Cesena al 79esimo. Il problema comune a tutta la sanità è quello delle lunghissime file di attesa per una visita o un esame, quello del pronto soccorso che non ha trovato soluzione con il CAU come ampiamente previsto (almeno da Ravenna in Comune: de Pascale si diceva straconvinto del contrario), quello delle carenze di personale che si riverbera inevitabilmente sui servizi, sulla qualità di vita per chi ci lavora e, non da ultimo, sul livello di violenza raggiunto nei centri di cura.
Si chiedeva pochi giorni fa un giornale locale: «La domanda cruciale è: come e quando ci siamo rassegnati a questo stato delle cose? Dev’essere stato il famoso processo della “rana bollita”, un po’ alla volta, forse mentre eravamo in fila per i primi vaccini o al pala de André in auto, per i tamponi del Covid. Le liste di attesa erano già lunghe, poi sono diventate sterminate, i medici di famiglia sono diventati impossibili da reperire o quasi e l’arte di adattarsi ha preso il sopravvento. Molti vanno ormai nel privato. Ma il pronto soccorso privato (ancora) non c’è. E così succede che sette ore di attesa in un normale venerdì di ottobre per essere visti al pronto soccorso di Ravenna dopo una caduta in bicicletta (ma vogliamo parlare di piste ciclabili? No, va beh, meglio di no) e in totale undici ore per la dimissione con una costola rotta diventano la norma».
Quale ricetta propone chi si candida a guidare l’Amministrazione regionale per i prossimi cinque anni (a meno di andarsene anticipatamente come ha fatto Bonaccini)? Tutti dicono tante cose, ma molte sono fregnacce, tra le quali per i distratti è difficile districarsi. Così si rischia di farsi abbagliare da slogan pirotecnici ma inconsistenti al lato pratico. Ugolini parla di «Passare dal paradigma “dell’attesa” all’approccio pro-attivo della “presa in carico”»; de Pascale controbatte che «Occorre un vero e proprio cambio di paradigma, bisogna promuovere la salute prima ancora che curare». E, naturalmente, entrambi tessono l’elogio della sanità pubblica… apparentemente. Per Ugolini «L’obiettivo principale è sostenere un Servizio Sanitario Nazionale pubblico e universalistico, garantendo uguali opportunità di salute per tutti». Anche per de Pascale è fondamentale «promuovere la salute e la sanità pubblica e universalistica e di migliorare il sistema sanitario regionale e l’accesso alle cure».
Sotto al coperchio, però, bolle la stessa ricetta: privato, privato, privato! Ugolini lo chiama «principio della sussidiarietà» mentre de Pascale va più diretto a magnificare la «sanità privata convenzionata, alla quale non possiamo che guardare con attenzione e in maniera costruttiva per integrare l’offerta di servizi nel nostro territorio». Si tratta della stessa ricetta grazie a cui si è persa la tradizionale eccellenza dell’Emilia-Romagna in fatto di sanità, quella che ci faceva strabuzzare gli occhi davanti alle immagini delle distese di pazienti su barelle abbandonate nei corridoi di ospedali fuori regione. Perché per noi erano inconcepibili. Ed ora invece leggiamo che «provi a chiedere almeno una barella su cui stenderti, ma no, barelle non ce ne sono più, meglio tenersi stretta la sedia di metallo».
Ravenna in Comune continua a denunciare che il privato è la malattia che affligge la nostra sanità. Continuare a farla convivere con il servizio pubblico significa né più né meno che dirottare sul privato risorse economiche pubbliche indispensabili alla sanità pubblica. Già ora più di un quarto delle prestazioni viene erogato da strutture private cosiddette convenzionate: «nel 2023 le strutture private accreditate dell’Emilia Romagna hanno erogato nel complesso quasi 4 milioni di prestazioni ambulatoriali, pari ad oltre il 27% del totale delle prestazioni specialistiche regionali». E, per alcune prestazioni, è il privato la prima scelta a cui il servizio pubblico indirizza le richieste. Se lo scorso anno il 43% delle elettromiografie sono state effettuate da strutture private, gli ecocolordoppler presso i privati accreditati hanno rappresentato più della metà del totale (53%), mentre con le risonanze magnetiche il privato convenzionato è arrivato al 63% di tutte le prestazioni fornite dalla sanità “pubblica” regionale!
«Negli ultimi 30 anni, tutte le forze politiche che hanno governato il nostro Paese hanno costantemente tagliato i fondi alla sanità pubblica e incentivato quella privata. Non possiamo risolvere queste contraddizioni dall’oggi al domani, ma è possibile invertire la rotta. Prima di tutto, è necessario spostare i fondi dal settore privato a quello pubblico». Questo e non altro significa volere una sanità pubblica. A dichiararlo e ad averlo nel programma è Federico Serra, candidato alla Presidenza della Regione per la lista Emilia-Romagna per la Pace, l’Ambiente e il Lavoro. Questo programma per Ravenna in Comune è pienamente condivisibile, a differenza di quelli che inneggiano alla sanità pubblica per sostenere la privatizzazione della salute, portati avanti da Ugolini per il centrodestra e de Pascale per il centrosinistra. E qualcuno ci dovrebbe spiegare dove trova il coraggio la lista AVS per dire che la sua priorità è «una sanità pubblica, territoriale e universale» quando il suo candidato de Pascale, come detto, ha tutt’altro programma… Per completezza di cronaca si deve riferire che dal quarto candidato alla presidenza della Regione, Luca Teodori (già Lega e poi fondatore del movimento 3V) per la lista Lealtà, Coerenza, Verità, abbiamo sentito parlare tanto di vaccini ma per niente di escludere il privato dalla sanità pubblica.
Come Ravenna in Comune ha già detto molte volte: il privato nella sanità pubblica è il problema e non la soluzione!”