La Costituzione Italiana, all’articolo 11, nega la possibilità della guerra: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Eppure nel nostro Paese si è operato in molti casi la giustificazione della guerra, inviando truppe italiane all’estero, con le scuse più disparate: peacekeeping, operazioni di polizia, missioni militari di pace e simili. Siamo addirittura impegnati in alleanze che prevedono attività militari all’estero e manteniamo sul nostro territorio armi nucleari sotto il controllo dell’esercito USA.
Predicare la pace e razzolare la guerra non è un male unicamente italiano. C’è chi fa di peggio. In questo stesso momento un capo di stato di un paese straniero, la Russia, ha annunciato l’inizio di operazioni militari nei confronti di un altro paese, l’Ucraina, “per smilitarizzarlo”. È guerra senza se e senza ma.
Ravenna in Comune è per la pace. Non la pace dei vincitori sui vinti, dei forti sui deboli, ma quella prevista dalla nostra Costituzione: pace e giustizia fra le Nazioni in condizione di parità con gli altri Stati, promossa attraverso la partecipazione ad organizzazioni internazionali rivolte a questo scopo. Chiediamo a tutte le istituzioni, nazionali e locali, e a tutte le cittadine e i cittadini di lavorare insieme per un mondo senza guerra.
Ravenna in Comune
Riteniamo attualissimo il discorso pronunciato da Gino Strada, fondatore di Emergency, il 30 novembre 2015 a Stoccolma. Ne pubblichiamo un ampio stralcio.
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ABOLIRE LA GUERRA UNICA SPERANZA PER L’UMANITÀ
La guerra non significa altro che l’uccisione di civili, morte, distruzione. La tragedia delle vittime è la sola verità della guerra.
Confrontandoci quotidianamente con questa terribile realtà, abbiamo concepito l’idea di una comunità in cui i rapporti umani fossero fondati sulla solidarietà e il rispetto reciproco.
In realtà, questa era la speranza condivisa in tutto il mondo all’indomani della seconda guerra mondiale. Tale speranza ha condotto all’istituzione delle Nazioni Unite, come dichiarato nella Premessa dello Statuto dell’ONU: “Salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”.
Il legame indissolubile tra diritti umani e pace e il rapporto di reciproca esclusione tra guerra e diritti erano stati inoltre sottolineati nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta nel 1948. “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e il “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
70 anni dopo, quella Dichiarazione appare provocatoria, offensiva e chiaramente falsa. A oggi, non uno degli stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all’istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale. All’inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi.
La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme. Cancellando il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani.
Nella maggior parte dei Paesi sconvolti dalla violenza, coloro che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come noi, nove volte su dieci. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
La scelta della violenza – nella maggior parte dei casi – porta con sé solo un incremento della violenza e delle sofferenze. La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza.
Sessanta anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russell-Einstein: “Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”. È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano?
Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro.
Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare.
Si può paragonare la guerra al cancro. Il cancro opprime l’umanità e miete molte vittime: significa forse che tutti gli sforzi compiuti dalla medicina sono inutili? Al contrario, è proprio il persistere di questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per prevenirla e sconfiggerla.
Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte. È anche il più urgente. Gli scienziati atomici, con il loro Orologio dell’apocalisse, stanno mettendo in guardia gli esseri umani: “L’orologio ora si trova ad appena tre minuti dalla mezzanotte perché i leader internazionali non stanno eseguendo il loro compito più importante: assicurare e preservare la salute e la vita della civiltà umana”.
La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell’immaginare, progettare e implementare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino alla completa disapplicazione di questi metodi. La guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente.
L’abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione.
Possiamo chiamarla “utopia”, visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento.
Lavorare insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che possiamo fare per le generazioni future.
Gino Strada, Stoccolma, 30 novembre 2015
[Tratto dal discorso pronunciato da Gino Strada nel corso della cerimonia di consegna del “Right Livelihood Award 2015”, il “premio Nobel alternativo”].
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