“Ci sono termini che per un po’ fanno faville e poi escono di moda. Uno di questi, spiace dirlo, è “greenwashing”. Spiace perché, benché d’importazione, coglieva in splendida sintesi il senso di dare una mano di vernice verde su qualcosa che proprio verde non è. E poiché l’intento critico era palese, non dubitiamo che abbia concorso al metter fuori uso il termine proprio quel mondo che veniva intenzionalmente sbertucciato nel proprio palese tentativo di rivendere al meglio qualità che non possedeva. Certo non doveva piacere a multinazionali come ENI sentirsi certificare addirittura dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che faceva greenwashing quando associava “green” a carburanti come il “diesel”. Era il 2020 quando il cane a sei zampe si beccava una sanzione da 5 milioni di euro per aver lasciato intendere che il prodotto commercializzato (Eni Diesel+) meritasse la ridenominazione in “green diesel” perché “prodotto orientato alla protezione dell’ambiente”. L’AGCM non aveva avuto dubbi a denunciare “l’ingannevolezza dei messaggi”, cioè il greenwashing messo in opera da ENI. Quattro anni dopo il greenwashing è finito nella spazzatura con una sentenza del Consiglio di Stato che ha ribaltato la decisione dell’AGCM con comprensibile gioia di ENI. Nessuna pratica commerciale scorretta è stata messa in atto da Eni ai danni dei consumatori, dice il Consiglio di Stato, perché è consentito l’uso di termini quali “green” e simili anche per prodotti tutt’altro che “a impatto zero” sull’ambiente. È la pubblicità, baby, cioè una menzogna per definizione. È dunque legittimo commercialmente, benché eticamente riprovevole, l’impiego di claim “green” in relazione a prodotti che sono inquinanti quando mette in luce che ce ne sono altri ancor più inquinanti.

Cosa c’entra tutto questo con Ravenna? Leggiamo in un comunicato del 20 giugno scorso pubblicato dall’Autorità di Sistema Portuale  che si è “inaugurato nell’area portuale di Ravenna, allo stabilimento Marcegaglia, la banchina realizzata con cementi ecologici per opere marittime”. Cosa renderebbe “ecologico” un prodotto normalmente associato a significati opposti rispetto al rispetto dell’ambiente? Nella produzione dello specifico cemento impiegato nella realizzazione della banchina si è avuta attenzione alle emissioni di CO2: “la più bassa tra i prodotti in commercio” dichiara il fornitore Cementerie Barbetti.

Tra le qualità del porto di Ravenna in genere non compare il rispetto dell’ambiente, nemmeno a livello di tentativo. Le cronache cittadine quando associano i due termini, “porto” e “ambiente”, invariabilmente si riferiscono a situazioni in cui un peggioramento delle condizioni del secondo è attribuito ad attività riconducibili al primo. Dalle piattaforme logistiche all’inquinamento delle acque, dagli altissimi livelli di polveri sottili alle emissioni di gas serra per la mancata elettrificazione delle banchine, ecc. ecc.

Anche in ragione di ciò e dell’interesse che Ravenna in Comune pone da sempre nella tutela dell’ambiente in cui si vive e lavora, non possiamo che apprezzare i tentativi di miglioramento. E l’obiettivo di contenere le emissioni di CO2, per quanto limitato rispetto ai chilometri di nuove banchine che si stanno realizzando, si può considerare un passettino (timido) nella direzione giusta. Però lasciare intendere che le caratteristiche migliorative pubblicizzate siano tali da cambiare così radicalmente la natura del prodotto da renderlo addirittura ecologico, trasformando una colata di cemento in un atto di protezione dell’ambiente… questo forse è un po’ troppo. In questo caso l’impiego del vetusto termine di “greenwashing”, per quanto uscito di moda, ci pare ancora il più adatto!”