“Meno venti. È il dato appena diffuso relativo al confronto gennaio 2024 con gennaio 2023 dei traffici portuali. Più esattamente il dato relativo del calo è un tonfo del 19,3% dei quantitativi complessivi movimentati nel primo mese di quest’anno rispetto all’anno precedente. Vale la pena ricordare che già il 2023 non era stato un anno positivo. Anno su anno il confronto era stato negativo per quasi il 7% (6,9%). Ed anzi già il gennaio 2023 scontava un confronto negativo con lo stesso mese dell’anno precedente. Se poi guardiamo al report a firma dell’Autorità Portuale riscontriamo che per il crollo di gennaio 2024 si parla di un dato negativo che non trova confronti nel periodo 2015-2024. Per chi ha buona memoria, poi, bisogna arrivare sino al gennaio 2012 per trovare una movimentazione nel primo mese dell’anno al disotto di un milione e ottocentomila tonnellate. Quattordici anni fa!
Sono dati negativi senza appello. L’Autorità Portuale chiama in causa la crisi di Suez: «Riduzione dell’import‐export di merce, ritardi e cambi di rotta, aumenti nei costi del trasporto marittimo e delle sue assicurazioni stanno penalizzando i porti del nord Adriatico». Fatto sta che solo i liquidi tengono (con un leggero aumento del 3,1%), mentre le merci secche sono in negativo oltre il dato medio (-24,4%) ed i container perdono quasi un terzo (-30,1%).
E allora sarà anche Suez e si può provare a dare la responsabilità alla contingenza generale, ma una riflessione sull’assurdità dei nuovi lavori che produrranno quantitativi ingestibili di fanghi da smaltire andrebbe pur fatta. La “Signora dello Shipping”, ossia Cecilia Battistello Eckelmann, prematuramente scomparsa il 6 marzo scorso, già nel 2017 aveva le idee chiarissime in proposito: «Il Gruppo Contship in passato ha già dichiarato in modo molto chiaro la sua posizione in merito al progetto di sviluppo del porto. Contship, con il suo azionista di riferimento Eurokai, ha richiesto la condizione che ci siano almeno 14,5 m. di pescaggio in modo da poter attrarre navi da 8000/8500 teus. Diversamente, ogni altra ipotesi di sviluppo si trasformerà in uno spreco di risorse e un’inutile perdita di tempo».
Si tratta di chi ha rivestito in tutti questi anni il ruolo di vicepresidente nella società di gestione del Terminal Container (T.C.R.) di cui il gruppo Contship (di cui era presidente) è socia costitutiva assieme alla Sapir. Quindi parliamo di persona ben informata e ben consapevole del fatto che per consentire l’accesso ad un naviglio che “pesca” sino a 14,5 metri occorre un fondale posto almeno a -15,5 metri. Ed i lavori in previsione, come più volte precisato dal Presidente dell’Ente Porto, anche ad essere ottimisti sul rispetto delle previsioni, non consentiranno di avere fondali ad una profondità ulteriore i -14,5 metri. Che comunque sarà un risultato piuttosto sfidante da ottenere e, soprattutto, da mantenere. Anche senza tener conto dei desolanti dati statistici che fanno prevedere ben altre sorti per lo scalo ravennate, resta dunque valida la domanda già posta daRavenna in Comune: «Oggi fuori dalle dighe ci sono circa 12 metri di profondità ed il progettato nuovo terminal potrebbe accogliere al massimo navi da 4.500 teus. Che senso ha un chilometro di nuove banchine destinate ad un nuovo terminal container solo per confermare navi e quantitativi odierni?».
Il costo complessivo tra prima e seconda fase? Circa 460 milioni di euro. Senza contare il problema di smaltire un quantitativo colossale di fanghi, come deve ammettere Rossi: «Abbiamo dovuto fare un progetto complessivo, approvato dal Cipe, in cui abbiamo presentato un piano per l’utilizzo di 10 milioni di metri cubi, da destinare per la realizzazione di oltre 200 ettari di aree produttive e logistiche».
Oltre allo «spreco di risorse e all’inutile perdita di tempo» pronosticate dalla “Signora dello Shipping”, dunque, come Ravenna in Comune vorremmo evidenziare la devastazione ambientale prodotta dallo sversamento di 10 milioni di metri cubi di fanghi su 200 ettari di terreni con il conseguente consumo di suolo. Ripetiamo allora la domanda già posta e ancora senza riscontro: «Vale la pena intasare ogni spazio disponibile (e non) per stiparlo dei fanghi portuali necessari ad un nuovo approfondimento che non trova riscontro fuori dalle dighe? C’è qualcuno della maggioranza, che ne capisca almeno un po’ di portualità, in grado di rispondere?».”