“Oggi è l’anniversario dei fatti del 7 ottobre. E di quel che ne è seguito. C’è chi tra i Palestinesi lo ricorda come l’inizio di una rivoluzione. Ufficialmente Hamas lo ha chiamato “Alluvione Al-Aqsa”. C’è chi tra gli Israeliani lo chiama “il giorno del massacro”. E quello che ne è seguito, per l’IDF, è l’operazione “Spade di Ferro”. Sarebbe importante che, oltre al dato numerico che abbiamo diffuso ieri, si potesse ascoltare anche il racconto palestinese e non la sola versione israeliana. E poi, naturalmente, sarebbe importante avere una informazione giornalistica, ossia incentrata sui fatti più che sulla propaganda, in grado di svolgere il proprio lavoro informativo dai luoghi dove si stanno sviluppando. Tutto questo, però, non è reso possibile o, quanto meno, è molto difficile quanto meno in Italia. I giornalisti presenti a Gaza sono prigionieri al pari del resto della popolazione palestinese e al pari di questa sono fatti bersaglio di colpi mirati degli Israeliani. Nessun inviato esterno vi ha accesso. Vi è la precisa volontà israeliana di sopprimere ogni informazione che non provenga dalla stessa fonte dell’IDF, come dimostra l’espulsione di Al Jazeera sia da Israele che dalla Cisgiordania occupata. I nostri media riportano sistematicamente ed esclusivamente le notizie fornite dagli Israeliani, adottando perfino il linguaggio di parte israeliana. Tutto questo non consente alla popolazione italiana di avere una conoscenza appropriata di quanto accade e, quindi, di formarsi un punto di vista e di assumere o far assumere dai propri rappresentanti istituzionali delle decisioni conseguenti. Tutto funziona all’opposto: sono i decisori politici ad assumere una posizione e l’informazione è veicolata in modo tale da orientare la popolazione ad accettarla senza opposizioni.
Nonostante tutto ciò c’è un prevalente sentimento di diffidenza da parte della popolazione verso il racconto unilaterale con cui viene martellata. E questo provoca o una reazione di rigetto o una reazione di opposizione. Quest’ultima viene costantemente contenuta dai centri di potere, le manifestazioni sono represse o rese di difficoltosa attuazione. Come avvenuto sabato a Roma, tra divieti, identificazioni, fogli di via, provocatori organizzati e conseguenti reazioni militari: tutto per derubricare una giornata di opposizione a problema di ordine pubblico, cancellando i contenuti dietro a manganelli e bombe carta.
Giustamente Amnesty International aveva anticipato: «Qualsiasi limitazione posta al diritto di riunione pacifica deve essere frutto di attenta valutazione specifica e deve a sua volta rispettare i principi di legalità, proporzionalità e necessità. Questi principi non sembrano essere stati rispettati nel prendere questa decisione di diniego della piazza. Possibili atti o espressioni di odio antisemita, che vanno condannati nella maniera più netta, non possono essere attribuiti anticipatamente e automaticamente alla maggioranza se non addirittura alla totalità della protesta. Lo stesso vale per eventuali messaggi individuali di incitamento alla violenza. Gli standard internazionali, infatti, specificano che le restrizioni necessarie dovrebbero essere basate solo sul tempo, il luogo o le modalità di una riunione, senza tener conto del messaggio che essa cerca di trasmettere, in base al principio secondo cui le restrizioni devono essere “neutrali rispetto al contenuto”. Amnesty International Italia ricorda che gli stati devono rispettare, garantire per legge e assicurare che tutte le persone possano esercitare il loro diritto di protesta».
Ieri, domenica, si è tenuto a Ravenna, in Piazza Andrea Costa, il presidio degli studenti internazionali dell’Università a sostegno della richiesta di cessazione delle violenze israeliane in Palestina ed in Libano: “Hands Off Palestine – Hands Off Lebanon”. Come Ravenna in Comune avevamo invitato a partecipare alla manifestazione, organizzata dalle associazioni studentesche Ravenna Students For Palestine e Tôchi Bellezza. È importante, anzi fondamentale, continuare a testimoniare vicinanza alla popolazione palestinese e libanese. Continueremo a farlo fino a che la giustizia non prevarrà sulla sopraffazione e sia la popolazione palestinese che quella israeliana riusciranno a vivere in pace dopo che si sarà stabilito il diritto palestinese ad autodeterminarsi ed autogovernarsi.”