“Il tema dell’estate, come quello di tutte le estati ormai, e più correttamente si dovrebbe chiamare “tormentone”, è quello della concessione delle spiagge. Anche i gatti sanno che non regge più il sistema delle proroghe infinite con cui sia il centrosinistra che il centrodestra hanno sempre provato a buttare in là la palla. Ravenna in Comune, a differenza di centrodestra e centrosinistra, non considera il libero mercato e la sua invisibile manina come un valore intangibile. La garanzia di una pubblica fruibilità per un bene pubblico come sono le spiagge demaniali dovrebbe essere regola e non eccezione. E, curiosamente, il nostro non è un pensiero così rivoluzionario: sono le norme dello Stato a dirlo. «L’amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo» (Art. 36 C.N. – Concessione di beni demaniali). E per noi non dovrebbe star scritto sulla pietra nemmeno la messa a bando delle concessioni di un bene pubblico. Ci possono essere validissime ragioni perché una risorsa pubblica sia allocata senza gara e mantenuta in assegnazione per periodi anche lunghi. Può trattarsi di progetti aventi caratteristiche del tutto peculiari, di attività con ricadute benefiche sulla collettività, di accordi per garantire un reddito da lavoro in situazioni di particolare criticità, ecc. Si può anche prendere in considerazione una sorta di “scambio” in caso di investimento di risorse private dove il pubblico non riesce a reperirle. A patto, ovviamente, che si tratti di situazioni “vere” e non di motivazioni addotte a posteriori per giustificare trattamenti di favore.
Nel caso delle spiagge, però, abbiamo solo avuto proroghe a pioggia, in assenza di qualunque vantaggio per il pubblico. La narrativa degli importanti investimenti affrontati dal privato e della necessità per questi di un loro ammortamento… è, appunto, una storiella in mancanza di qualunque controllo o di riferimento e valutazione specifica: la proroga è stata per tutti. Senza distinzioni tra chi ha gestito direttamente lo stabilimento balneare e chi, invece, lo ha affittato lucrando la rendita di posizione al momento dell’incasso di un lauto canone di affitto dopo aver pagato un irrisorio canone di concessione. Inoltre ogni concessionario sapeva sin dall’inizio cosa sarebbe successo alla scadenza della concessione. Fatta salva la concessione di edifici di proprietà dello Stato, avrebbe dovuto liberare la spiaggia, con interventi a proprio carico, da quanto vi aveva costruito o, se l’Amministrazione lo avesse consentito, non opporsi a che la costruzione diventasse proprietà dello Stato senza alcun indennizzo (art 49 C.N. e art. 31 R.N.M.). Tutto il dibattito sull’equo indennizzo ai privati titolari di concessione a seguito della cessazione di quest’ultima non ha alcun fondamento giuridico né razionalità politica. E lo stesso vale per gli escamotage volti ad evitare i bandi: la preferenza da accordarsi obbligatoriamente ai vecchi concessionari (c.d. “diritto di insistenza”) che rendeva impossibile la messa a gara è stata abrogata una quindicina di anni fa!
Infine, merita una breve critica l’arrampicata sugli specchi attraverso cui, uno studio presentato dall’Italia alla Comunità Europea, sostiene che sarebbe pubblicamente fruibile, in quanto non concessionato, il 67% delle spiagge italiane. Il tentativo, destinato a fallimento, è quello di fornire l’impossibile dimostrazione di una sovrabbondanza del bene spiaggia libera che renderebbe “inutile” la messa a gara delle “poche” concessioni rilasciate. Il calcolo è stato effettuato sul totale della costa italiana e non sulle sole aree balneabili e di costa bassa, includendo quindi anche i tratti di costa rocciosa, quelli non accessibili e quelli non balneabili né concessionabili per le più diverse ragioni (foci di fiumi, poligoni militari, porti, scarichi fognari o la presenza di altre infrastrutture e manufatti). Secondo i dati diffusi da Legambiente (Report Spiagge 2019 e 2024), in Emilia-Romagna il 70% del litorale è sottratto alla libera fruizione in quanto assegnato in concessione. Non vuol dire ovviamente che il 30% residuo sia spiaggia liberamente accessibile: ad esempio i porti e le aree protette si trovano in quel 30% che teoricamente costituirebbe il tesoretto di spiaggia libera regionale. E poi va considerato che per il 10% l’Emilia-Romagna si ritrova delle acque costiere non balneabili. Non stupirà scoprire che anche queste gravano su quel teorico tesoretto!
Alla luce di tutto ciò ribadiamo la posizione di Ravenna in Comune già espressa con chiarezza. Bisogna smettere di illudere i concessionari continuando ad evitare di affrontare il nodo “concessione delle spiagge”. Non è nemmeno dignitosa la storiella raccontata dall’assessore regionale ai balneari a cui, solo ora che si avvicinano le elezioni, propone un bel tavolo di confronto per il futuro. Peggio ancora de Pascale che tira fuori dal cappello il coniglio di una apposita leggina regionale… per dopo le elezioni. Costruiamo invece sin d’ora bandi che possano valorizzare le azioni positive del passato nel caso di ripresentazione di istanza di concessione da parte dei gestori attuali. Vanno considerate le proposte di investimento avendo tra i fondamentali la sostenibilità ambientale, oltre che economica. E anche si deve prendere atto che alcuni tratti di litorale devono essere esclusi dalle gare, ampliando l’offerta di spiagge libere. Né può rimanere esclusa dal ragionamento l’assoluta necessità di far uscire il lavoro sulle spiagge da quella nebbia che colloca il rispetto delle regole a cavallo tra il nero e il grigio.
Chi lavora nelle spiagge non merita di essere preso in giro e chi si limita a speculare su un bene pubblico deve essere messo alla porta.”
Ravenna in Comune