Leggiamo delle manganellate che hanno accolto gli studenti che protestavano, a Roma, a seguito della morte di un loro coetaneo, un altro studente diciottenne, che chissà se finirà nei numeri ufficiali dei morti su lavoro che anche noi pubblichiamo. Ne avevamo appena scritto (La morte non ha età). Questo un estratto del comunicato con cui era stata convocata la manifestazione:
«Una morte che si inserisce in un quadro che tuttə conosciamo bene: un lavoro sempre più precario, sottopagato, alienante, non sicuro per chi lo svolge. Un sapere sempre più mercificato e soggetto a ricatto, un’aziendalizzazione delle scuole sempre più evidente, un addestramento alle competenze utile a garantire il profitto delle imprese. Siamo stanchə della vostra scuola, siamo stanchə di una scuola che uccide».
In molte città (da Milano a Roma a Bologna) nelle scuole si stanno esprimendo proteste attraverso occupazioni (alcune vanno avanti dall’ottobre scorso), scioperi e cortei. Da parte delle istituzioni non è stato tentato nessun dialogo. A Roma si è passati da una criminalizzazione degli studenti da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale alla “coerente” repressione fisica da parte delle forze di polizia. Non è la prima volta e, già lo sappiamo, non sarà l’ultima. La chiusura al confronto e la reazione violenta va avanti da anni e si è volta volta diretta contro lavoratori, cittadini e, appunto, studenti. Durante questi ultimi due anni, con la scusa della pandemia, si sono intensificate. Con il conseguente corollario strumentalizzante a seconda delle situazioni, infiltrazioni e simili. Tra cui sono spiccati a livello mediatico, in negativo, il permettere l’assalto fascista alla sede della CGIL e la verifica della forza ondulatoria da parte di un agente in borghese.
Nell’aprile 2020 davamo l’avvio ad una serie di contributi nella «necessità ed urgenza di iniziare già ora, durante la crisi sanitaria, a ragionare sul dopo, partendo dagli errori commessi prima e durante e da non ripetere, appunto, quando inizierà il dopo. In modo che il postCovid-19 non risulti in continuità con la globalizzazione del capitalismo finanziario spremitutto che ha aiutato a trasformare uno dei tanti virus in una pandemia epocale. Se si lascia fare, infatti, tutto congiura a che nulla cambi (a dispetto del ritornello: nulla sarà più come prima), salvo per le file, il divieto di abbracciarsi e le mascherine, naturalmente (che invece non vorremmo proprio conservare)». La prima riflessione ci veniva da Raffaella Sutter, già nostra candidata sindaca alle elezioni del 2016. Di seguito uno stralcio che, pensiamo, sia importante rileggere (lo ripetiamo, è dei primi giorni di aprile 2020) mentre la nostra società si avviluppa entro spire sempre più strette con movimenti sempre più violenti ed incostituzionali:
«È prevalsa una logica della sicurezza di tipo poliziesco e limitativo delle libertà personali, che ha allentato i legami sociali, annullato i riti collettivi, indotto a denunciare come untore chi esce di casa, a sanzionare i senza tetto. Il clima d’odio c’era già (prima verso i migranti) ed è stato acuito dalla pandemia, ma, in una situazione di precarietà, paura, diffidenza, colpevolizzazione dei cittadini, rischia di consolidarsi e prevalere la logica del controllo sociale rispetto alle iniziative solidaristiche pur esistenti.
La limitazione delle libertà personali ed il controllo poliziesco dei comportamenti, la sorveglianza coi droni o il prospettato tracciamento digitale della mobilità, insieme all’adozione di procedure normative d’emergenza (DPCM) e alla riduzione del ruolo del Parlamento, aprono anche per il futuro uno scenario inquietante per la democrazia; dice il garante della privacy Soro che proporzionalità e ragionevolezza degli interventi oltre alla loro temporaneità sono la chiave per tornare alla normalità e per evitare il rischio di “scambiare per efficienza la rinuncia ad ogni libertà e la delega cieca all’algoritmo”. Ma il rischio per il futuro è il diffondersi della già preesistente cultura della obbedienza volontaria per paura e insicurezza; come dice il filosofo M. Benasayag, l’epidemia è il sogno del tiranno».
Come Ravenna in Comune ci sembra che tutto questo sia di assoluta attualità e vada ribadito con forza, per quanto possibile, mentre l’informazione pubblica pare essere stata quasi completamente sostituita da propaganda di regime. Le manganellate non piegheranno la democrazia. Intanto venerdì gli studenti torneranno in piazza…