“Oggi, 27 gennaio, data dell’abbattimento nel 1945, da parte dell’Armata Rossa, dei cancelli e delle recinzioni di Auschwitz, è il Giorno della Memoria, istituito dalla Legge 20 luglio 2000, n. 211 per “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” (art.1). Cos’è stato Auschwitz ma anche Buchenwald e Dachau e pure gli italianissimi Fossoli, Ferramonti, Borgo San Dalmazzo e soprattutto la Risiera di San Sabba lo sappiamo ancora. Alcune cose però già cominciano a scomparire dalla conoscenza comune. Ad esempio che oltre allo sterminio degli ebrei europei, con la Shoah, si procedette a colpire Rom e Sinti, con il Porrajmos. E ad essere perseguitate furono tante altre persone solo perché non eterosessuali. E, ancora, chi non si piegò all’accettazione passiva. Se la memoria non si è ridotta ancora a quella singola riga sui libri di storia che la Senatrice Liliana Segre pronostica pessimisticamente per il prossimo futuro forse lo si deve anche alla Legge 211 del 2000.
Si tratta di una norma importantissima perché nel primo articolo definisce ciò che va ricordato. Ossia che nel ventennio vennero emanate apposite norme discriminatorie (tra cui le cosiddette “leggi razziali“) e poi furono perseguitate persone, tracciando perimetri discriminatori per individuare chi poteva sentirsi a casa propria in Italia e chi no. Stabilisce poi che ad essere fatti oggetto di memoria non devono essere solo le persecuzioni dovute alle “leggi razziali” ma anche quelle che hanno condotto persone non ebree a subire deportazione, prigionia e morte. Infine che vanno ulteriormente ricordati quanti hanno consapevolmente violato le norme allora vigenti opponendosi alle persecuzioni “legittime” e proteggendo “illegittimamente” i perseguitati.
E poi all’articolo 2 stabilisce che il ricordo non è fine a se stesso: “in occasione del Giorno della Memoria di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere“. La memoria insomma va esercitata in modo da conservare traccia di quanto accaduto con un fine ben chiaro: evitare la possibilità che si ripresenti la possibilità di una ripetizione, ossia di discriminazioni tra persone e persecuzione di quelle discriminate. Per evitare il rischio di nuove discriminazioni si obbliga allora ad un’organizzazione della memoria che imprima nelle coscienze il disvalore delle discriminazioni ed il valore positivo della ribellione contro le discriminazioni, ancorché apparentemente legittime perché validate da leggi.
La Legge che ha istituito il Giorno della Memoria, insomma, prescrive che si insegni a riconoscere le discriminazioni, quelle di ieri ma anche quelle di oggi, che possono anche riguardare gruppi diversi da quelli di cui si legge nei libri di storia. E stabilisce inoltre l’importantissimo principio per cui, se pur introdotte da leggi dello Stato, opporsi sempre alle norme discriminatorie è un valore importante, anche se questo dovesse risultare in una violazione e quindi portare ad una sanzione.
Se questo non viene insegnato e capito, allora, l’informazione che il Giorno della Memoria cade il 27 di gennaio può ridursi già oggi ad una sola riga sui libri di storia come teme Liliana Segre. «E poi non ci sarà nemmeno più quella» aggiunge. Il compito di evitare che questo accada è di tutte e tutti. Come Ravenna in Comune lo abbiamo ben chiaro.”