“Satnam Singh è un bracciante morto dopo aver perso un braccio. Sarebbe un gioco di parole se non fosse una mostruosità. Il lavoratore agricolo indiano, infatti, è deceduto il 19 giugno all’ospedale San Camillo di Roma, dove era ricoverato a seguito del grave ferimento occorsogli durante il lavoro in un’azienda agricola tra Borgo Santa Maria e Borgo Montello, due frazioni di Latina. Il macchinario gli aveva tranciato il braccio destro e schiacciato entrambe le gambe. Il padrone lo aveva abbandonato sulla strada a poca distanza dalla sua abitazione con il suo braccio in una cassetta degli ortaggi.

La notizia ha catturato l’attenzione mediatica e continua ad essere rilanciata nonostante sia passata già una settimana da quando “l’incidente” è avvenuto. Altri “incidenti” resistono meno. Pensiamo a Valerio Salvatore che ha sfondato una tettoia e venerdì è precipitato a terra ad una trentina di chilometri da Satnam morendo pure lui. 29 anni Salvatore e 31 Satnam. Sempre venerdì una esplosione ha ferito gravemente sei lavoratori a Bolzano ed uno, Bocar Diallo, senegalese di 31 anni, la stessa età di Satnam, è morto. Rimangono molto gravi le condizioni di altri tre altri feriti con ustioni di secondo e terzo grado. Aveva appena 18 anni, invece, Pierpaolo Bodini schiacciato giovedì sotto a un macchinario agricolo nel lodigiano. Quando si dice che è una strage è perché è una strage!

Domani si terrà la manifestazione della comunità indiana del Lazio ed in contemporanea si terrà uno sciopero indetto da due categorie sindacali (Fai Cisl e Uila Uil). Sabato c’è stata la manifestazione indetta a Napoli dal Movimento Migranti e Rifugiati e quella a Latina proclamata dalla CGIL.

Giovedì Schlein aveva detto che Satnam «è stato ucciso dallo sfruttamento e dalla disumanità» e lo stesso giorno Meloni aveva constatato che «sono atti disumani che non appartengono al popolo italiano». E pure Mattarella ha tracciato una linea per separare la civiltà italiana dalla barbarie: «Contro questa grande civiltà stridono – gravi ed estranei – episodi e comportamenti come quello registrato tre giorni addietro, quando il giovane Satnamn Singh lavoratore immigrato è morto, vedendosi rifiutare soccorso e assistenza, dopo l’ennesimo tragico incidente sul lavoro. Una forma di lavoro che si manifesta con caratteri disumani e che rientra in un fenomeno, che affiora non di rado, di sfruttamento del lavoro dei più deboli e indifesi, con modalità e condizioni illegali e crudeli. Fenomeno che, con rigore e fermezza, va ovunque contrastato, eliminato totalmente e sanzionato, evitando di fornire l’erronea e inaccettabile impressione che venga tollerato ignorandolo».

Vien da chiedersi, allora, se questo fenomeno, lo sfruttamento, riguardi solo qualche landa incivile o sia diffuso anche nella civile Emilia-Romagna e nel ravennate. E la risposta è che anche qui lo sfruttamento e in particolare quella sua variante chiamata caporalato si trovano perfettamente a loro agio. Lo rivelano le indagini che periodicamente riescono a fare emergere la punta di un iceberg. In agricoltura da noi funziona così, spiega l’ispettorato del lavoro (ITL): «Qui si manifesta in maniera più occulta rispetto a quanto accade al Sud, dove si notano anche vere e proprie baraccopoli. Il caporalato “nascosto” in Romagna è fatto in prevalenza di aziende agricole fittizie: si costituiscono in tempi rapidi, senza organizzazione né rischio di impresa e spesso senza nemmeno un vero terreno da lavorare, dopodiché stipulano contratti di appalto o subappalto con altri fondi agricoli». Già nel 2019, del resto, quando come Ravenna in Comune avevamo organizzato un convegno a Mezzano con l’intervento di esperti, sindacalisti dell’Osservatorio Placido Rizzotto e della FLAI CGIL, era emerso un quadro di complessiva illegalità.

Più il contesto in cui si lavora vede la ricattabilità del lavoratore e più trova spazi lo sfruttamento, il caporalato e, anche, l’insicurezza delle attività svolte nella mancanza di rispetto delle regole. Non è un caso che la filiera di appalti e subappalti e le forme di caporalato siano le tipologie di reclutamento da cui più spesso sorgono le condizioni “ideali” per morti, ferimenti e malattie professionali. Anche Ravenna in questo non fa eccezione. Come non fa eccezione rispetto a quelle forme estreme di disinteresse per la vita del lavoratore rappresentate dallo spostamento del morto o ferito dal luogo di accadimento o dall’addomesticamento della scena per far credere ad una causa naturale. Non solo nei campi di Latina, accadono queste, cose, ma anche nei cantieri edili e nel porto di Ravenna.

Satnam è morto e questa morte scandalizza e indigna. Anche Valerio, Pierpaolo e Bocar sono morti, anche se per ragioni mediatiche di loro si parla meno. Il risultato però non cambia. A Lodi come a Bolzano, a Latina come a Ravenna, i padroni, quelli veri, quelli per cui le vite dei lavoratori valgono molto meno dei profitti che si possono spremere in più trascurandole, non fanno neanche un giorno di prigione. Come Ravenna in Comune continuiamo a pretendere che ciò per cui ci si scandalizza ed indigna non venga dimenticato l’attimo dopo. Quando quegli stessi politici si trovano ad onorare quegli stessi padroni. Come accaduto e accade anche a Ravenna.”

Ravenna in Comune