I casi di malori “naturali” che portano a morte il lavoratore o la lavoratrice sul luogo di lavoro sono rari. Se poi si considerano per “naturali” quelli innescati da qualche patologia indipendente dall’attività svolta, risulta poi spesso, alla fin fine, che non erano per niente “naturali”. Insomma, il più delle volte, che sia per dolo o per errore in buona fede, a seguito di un esame più approfondito emerge che la morte è la risultante di dinamiche direttamente ricollegate all’attività lavorativa. A casa sua, in altre parole, il lavoratore non sarebbe morto. È quanto accaduto due anni fa anche a Franco, ritrovato a terra mentre lavorava sotto il sole di agosto nel piazzale di un terminal portuale. Il presunto malore che lo aveva colpito, però, si è sostanziato, a seguito di autopsia, in un trauma toracico con fratture multiple. Un quadro compatibile con un investimento secondo la medicina del lavoro.
Stando ai giornali è lungo l’elenco delle violazioni normative che, secondo la Procura, hanno guidato una pala gommata addosso a Franco a pochi giorni dal suo pensionamento. Tra queste:
“omissioni sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, degli impianti, dei dispositivi e delle attrezzature, secondo l’accusa non sottoposti a regolare manutenzione tecnica. Riscontrate anche irregolarità nei requisiti minimi previsti per il tunnel di carico e altre postazioni lavorative all’aperto; inesistenti vie di circolazione riservate ai mezzi e distinte dalle aree pedonali, tanto che le attività venivano svolte, secondo l’accusa, «in completa promiscuità». Nessuna traccia di segnaletica di sicurezza”.
Sono solo una frazione delle violazioni che, sempre secondo la Procura, interessando le norme preposte a garantire lo svolgimento in sicurezza del lavoro, sarebbero ascrivibili a chi è stato accusato di aver causato la morte di Franco. Franco è morto in un terminal di un’impresa ma era alle dipendenze di un’altra impresa. Anche chi conduceva il mezzo che, secondo la ricostruzione della Procura, lo avrebbe investito, non era dipendente del terminal.
Poiché il nuovo Prefetto ha dichiarato di voler immettere nuova linfa in quell’Osservatorio della legalità e della sicurezza sul lavoro che attualmente è lettera morta, riteniamo opportuno fornire un contributo relativamente ai contenuti. Come Ravenna in Comune, infatti, abbiamo svolto un ruolo determinante nel farlo istituire e siamo assolutamente delusi di come lo si sia deliberatamente messo da parte del Sindaco su un binario morto. E poiché il Prefetto ha dichiarato di voler riservare particolare attenzione al nostro porto, gli ricordiamo con l’occasione alcune delle domande a cui un Osservatorio operativo dovrebbe dare risposta, per orientare efficacemente l’azione di contrasto delle amministrazioni preposte:
Quante ispezioni sono svolte ogni mese in porto da parte delle amministrazioni competenti?
Quanto “pesano” le imprese e cooperative impegnate in appalti e in subappalti nel computo delle violazioni riscontrate?
Di quale tipo di violazioni risulta con maggior frequenza l’addebito: igiene e sicurezza del lavoro, regolarità contributiva o altro?
Ci sono imprese che, più di altre, accumulano violazioni? Se sì, a quale settore della filiera appartengono? Sono tra loro collegate?
Quanti infortuni colpiscono ogni mese lavoratrici e lavoratori all’interno del porto, inteso non limitatamente alle sole banchine, ma esteso anche ai piazzali e ai magazzini?
Ravenna in Comune ringrazia anticipatamente il Prefetto per l’avvio che darà all’Osservatorio in ordine al fornire le risposte a queste domande. Come Ravenna in Comune, ovviamente, monitoreremo il seguito che verrà dato agli impulsi del Prefetto. Continuiamo infatti a pensare che la sede naturale dell’Osservatorio sia quella comunale, dotata di idonee risorse per funzionare con continuità. Dovunque si collochi l’Osservatorio, comunque, Ravenna non può accettare che morti e infortuni come quella che ha colpito Franco siano considerate una “normalità” inevitabile del mondo del lavoro. Nel porto, nei cantieri edili, ovunque.