«Quello che è emerso dall’inchiesta è quello che noi diciamo da anni cioè che sono collusi con la parte datoriale e con la politica. Quando si tratta di sistemare gli interessi e i problemi dei terminalisti si attivano, quando si tratta di parlare dei problemi dei lavoratori non muovono un dito». Ravenna in Comune condivide pienamente quanto dichiarato da Josè Nivoi, portavoce Usb Mare e Porti, ieri mattina, al momento dell’occupazione della sede dell’Autorità Portuale di Genova da parte dei lavoratori portuali. Perché quello che vale per Genova, vale per Ravenna e per tutte le autorità portuali italiane.
In queste ore, infatti, si sta guardando con intensità al dito che indica la luna ma è proprio quest’ultima che si perde di vista, per quanto enorme sia rispetto al dito. Così, relativamente a Genova, si ascoltano e riascoltano i testi delle intercettazioni, rilasciati nei pezzi che fa comodo rilasciare, spezzettati a dovere, per inchiodare alle loro responsabilità politici e imprenditori del porto. Si ascolta e riascolta di modalità, tempi e quantità delle corruzioni presunte attraverso narrazioni di gite al casinò, di ricchi premi e cotillon, di alberghi e cene in cambio di preziose fette del porto. Quello che non viene detto, invece, è come sia stato possibile portare a termine tutto ciò.
E la risposta sta appunto nell’Autorità Portuale o, meglio, nella normativa che l’ha trasformata in Autorità di Sistema Portuale. Una norma a valenza nazionale e, infatti, per questo il discorso che facciamo vale anche per Ravenna. La cosiddetta riforma del 2016, cercata e voluta dal PD e portata avanti dal suo ministro Graziano Delrio, ha deliberatamente massacrato gran parte del sistema di pesi e contrappesi democratici su cui si fondavano le autorità portuali. In particolare è stata fatta tabula rasa della rappresentanza diffusa di lavoratrici e lavoratori delle banchine, dei piloti del porto, degli ormeggiatori, delle istituzioni e amministrazioni pubbliche e anche delle imprese. Lo scopo dichiarato della “riforma” era quello di eliminare la possibilità di interventi da parte del territorio sulle decisioni del vertice. Il risultato finale è stato quello di concentrare tutto il potere in un’unica figura, il presidente dell’ente, a cui di fatto spetta decidere della vita e della morte dei progetti di sviluppo, delle manutenzioni, dell’assegnazione a singoli di strutture pubbliche, di tempi e di modi. In poche parole, dalle decisioni di un Signorini o di un Rossi dipende dove verranno dirottate somme imponenti. La diga portuale di Genova “vale” 1,3 miliardi di euro. Rossi alla fine dello scorso anno ha rivendicato i prossimi 1,2 miliardi di euro di investimenti che «passeranno proprio dall’Autorità Portuale di Ravenna».
È allora quasi “naturale” che sui vertici degli enti porto si indirizzino pressioni di ogni tipo, a volte comprensive di corruzioni come da Genova le indagini segnalano. Di certo la mancanza di un controllo democratico sulle decisioni dell’uomo solo al comando comporta l’assenza di opposizioni di fronte a scelte a volte discutibili ed altre volte che, per lo meno, avrebbero dovuto indurre a porre qualche domanda. A Ravenna le domande non se le pone ancora nessuno. La rappresentanza di Comune e Regione nel Comitato di Gestione è come se non ci fosse. A Genova le domande hanno iniziato a porsele. E anche a darsi delle risposte. È solo questione di tempo. Ribadiamo la piena solidarietà di Ravenna in Comune alle lavoratrici ed ai lavoratori portuali di Genova in attesa di poterlo fare anche per Ravenna.”
Ravenna in Comune