Sempre più spesso si sente dire che Ravenna, capitale imperitura dagli otto monumenti Unesco, è in preda al degrado. Quale degrado? Non già il degrado in cui sono lasciate crollare poco a poco le sue archeologie industriali, quelle che caratterizzano il paesaggio della Darsena alla radice del canale Corsini. Nemmeno quello dei chilometri delle sue mura antiche in cui prevalgono i cartelli di divieto per il rischio che vengano giù, rispetto agli sporadici frammentari e brevissimi tratti sottoposti a restauro. In casi come questi non si parla mai di “degrado”. A Ravenna il termine non viene impiegato appropriatamente. Né viene riconosciuto nel suo significato corretto.
Nella nostra Città, invece, si mette il cartello “degrado da radici”, intendendo il fondo irregolare che costituisce la normale condizione in cui versano le piste ciclopedonali: tutte prossime ad alberature “sbagliate” per la scelta delle specie piantumate in luogo inadatto causa radici superficiali. Oppure si parla di “degrado”, invece di povertà, quando vengono denunciate per il reato di invasione di terreni o di edifici le persone che, non avendo trovato posto nei dormitori pubblici, sono colte a dormire sotto i portici. O sulle panchine. Un ulteriore abusivo impiego del termine riguarda proprio questi pubblici sedili.
Il vicesceriffo Fusignani con delega alla nostra sicurezza lo ha così usato parlando di panchine: «Non sono la causa di tutti i mali ma contribuiscono a dare un senso di degrado». Parlava di Piazza Baracca e la principale misura che annunciava dopo un caso di violenza sviluppatosi nella piazza (oltre alle per lui immancabili telecamere) era la rimozione delle panchine della piazza. Per rimuovere con loro il “degrado da panchine”. E così è avvenuto, nonostante la richiesta di Ravenna in Comune perché si soprassedesse in quanto nulla aveva a che fare con il verificarsi della violenza («non c’entrano le panchine con l’accoltellamento che ha avuto luogo in piazza il 19 ottobre scorso, esattamente come non c’entravano i tavolini del bar dall’altro lato della piazza in occasione di un altro accoltellamento il 4 dicembre 2021»). Si è scelta la settimana di Natale per fare piazza pulita, se non dai rifiuti abbandonati secondo le denunce dei residenti, almeno dalle panchine.
Questo stesso mese a Verona si è fatto esattamente l’opposto. Il comune retto dal PD locale ha “riconquistato” l’Amministrazione dopo quindici anni a guida leghista in cui erano stati montati braccioli in mezzo alla seduta delle panchine con funzione “antidegrado” o “antibivacco” secondo il lessico leghista. La Giunta leghista li aveva fatti mettere apposta per obbligare a stare sulle panchine solo se diritti e seduti composti. La Giunta piddina del nuovo Sindaco Damiano Tommasi li fatti togliere apposta perché sulle panchine ci si possa stare come si è più comodi, anche sdraiati a dormire o pomiciare. La Giunta Tommasi ha spiegato di aver operato per «restituire alle panchine il loro aspetto originario, nonché la loro finalità sociale».
A Verona la Giunta a guida PD parla della “finalità sociale delle panchine” e a Ravenna la Giunta a guida PD parla di “degrado da panchine”. Come Ravenna in Comune non abbiamo dubbi in proposito e lo abbiamo già detto all’Amministrazione de Pascale:
«Le panchine sono un presidio di accoglienza. Indicano che la comunità è ospitale nei confronti della cittadinanza e di chi la visita […]. Abbiamo già conosciuto stagioni in cui la paranoia di un malinteso senso di sicurezza urbana indicava la soluzione di tutti i mali nell’asportazione delle panchine».
Stiamo tornando in pieno a quella stagione, compresi gli sceriffi, le ordinanze e i regolamenti per vietare la povertà come avvenuto con il nuovo Regolamento di Polizia Urbana. Come Ravenna in Comune abbiamo già fronteggiato quella stagione. Non faremo mancare l’opposizione anche a questa Amministrazione che, in molti settori, fa propri tutti gli slogan della destra più becera. E anche dove finge diversità, nella realtà pratica le stesse peggior politiche.