Finalmente dopo una decina di anni si inizia a intravedere qualche passo in avanti per la realizzazione di un impianto di trattamento dei fanghi del porto. In linea di principio è un impianto indispensabile per una manutenzione in continuo dei fondali che non intasino immediatamente ogni spazio disponibile (come avvenuto nel passato). In linea di principio non possiamo che essere favorevoli.
I problemi, come spesso accade, intervengono quando si passa dall’ordine dei principi a quello dell’attuazione. I problemi, sollevati in sede regionale, sono praticamente tutti originati dalla decisione di affidare a un privato la gestione. Va considerato che l’impianto, che verrebbe collocato entro la parte portuale della pialassa Piombone, verrà realizzato con ingenti risorse pubbliche. E che ulteriori risorse economiche dovrebbe accollarsele l’Ente porto per il lavaggio dei “propri” fanghi. Dunque, perché dovrebbe trasformarsi in occasione per fare affari qualcosa che è di fatto sostenuto integralmente dal “pubblico”? Come riporta la stampa locale: “La scelta di trattare anche fanghi di altri porti dell’Adriatico, e non solo quelli del dragaggio del Candiano, è stata fatta, come spiegato in sede di conferenza dei servizi, per renderla economicamente sostenibile.”. Economicamente sostenibile, in questo caso, significa produttivo di guadagno per il privato. Non affidandolo ad un privato e quindi riservando l’impianto agli usi per i quali è sempre stato pensato, ossia le sole esigenze manutentive del nostro scalo, verrebbero meno o si ridimensionerebbero molti problemi.
Verrebbe infatti meno il problema rappresentato dal divieto di trattamento di fanghi di altri porti stabilito dagli strumenti urbanistici. Inoltre si ridurrebbe a dimensione accettabile quello che ad oggi è previsto come uno spreco indecoroso: 3.300 metri cubi di acqua dolce al giorno, dovunque sia prelevata, per una immissione nelle acque salate portuali, non possono nemmeno prendersi in considerazione. La riduzione a quantità sostenibili porterebbe l’ulteriore beneficio di un impatto minore rispetto alla pialassa del Piombone che, va ricordato, ospita un ecosistema protetto in un ambiente di acqua salata. Per quanto non figuri ancora tra i problemi sollevati in sede regionale, si pone l’ulteriore questione della logistica dei fanghi di altre realtà portuali. Come arriverebbero all’impianto? Via mare o via terra? Sicuramente via terra, ossia camion, sarebbe comunque il trasporto a fine ciclo: più è elevato il quantitativo, dunque, più è elevato il numero di viaggi/camion che impatterebbero sul nostro territorio.
In conclusione, fermi restando gli ulteriori approfondimenti che appaiono indispensabili, come Ravenna in Comune sosteniamo con forza una gestione esclusivamente pubblica dell’impianto di trattamento che riguardi i soli fanghi del porto di Ravenna.