Nella mattinata di martedì 23 lugliio, in duomo, a Ravenna, è stata celebrata la messa dedicata alla sollennità di Sant’Apollinare, patrono della città. Il rito è stato tradotto anche nella lingua dei segni (LIS) a favore dei non-udenti. Durante la propria omelia, l’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni ha fatto diversi riferimenti alla realtà odierna che caratterizza Ravenna, l’Italia e i conflitti bellici. Di seguito il testo del suo intervento:
‘Stiamo celebrando la solennità di S. Apollinare, il grande pastore e primo evangelizzatore delle nostre terre, vescovo, martire, patrono della Arcidiocesi di Ravenna-Cervia e della Regione ecclesiastica Emilia-Romagna. Lo veneriamo come protettore di tutti i nostri cittadini credenti e non credenti. In questa occasione vorrei riprendere alcuni spunti derivati dalla recente Settimana sociale dei cattolici tenutasi a Trieste. Mi sembra che ci siano indicazioni e prese di posizione utili non solo ai cattolici impegnati nel sociale e nella politica, ma anche a tutti gli altri nostri concittadini. Soprattutto le parole di Papa Francesco sono state illuminanti e concrete.
Mosè e i 70 anziani
Abbiamo ascoltato nella prima lettura la vicenda di Mosè e dei 70 anziani, dove la Bibbia ci presenta un grande capo, legislatore e giudice, investito da Dio stesso, che si rende conto di non poter esercitare da solo tutto il potere e tutti i poteri. Il suo “spirito di profezia” viene condiviso per volontà del Signore, con 70 anziani. Due di essi rimangono lontani dal gruppo dei convocati, ma anche a loro Mosè riconosce una ispirazione e ne accetta il contributo. Aggiungendo: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore”! (Nm 11,29).
La meditazione su questo testo, nel contesto di una riflessione molteplice sul tema della democrazia e di cosa ne sia il cuore, cioè la partecipazione, ha condotto la relatrice a dire che “nessun popolo, nessun potere può pretendere di avere da solo l’ultima parola sulla verità”. La Bibbia non ama l’appiattimento delle persone, nell’omogeneità, ma tende sempre a riconoscere l’altro, lasciando spazio alle novità portate da persone diverse, e al dialogo, a volte anche conflittuale, tra istituzione e carisma.
Al di là dei tanti modelli di esercizio del potere pubblico nell’Israele dell’antico testamento, la riflessione che ne possiamo trarre è che per avere una convivenza fruttuosa e rispettosa di tutti, bisogna anche saper condividere la “padronanza”. Deve prevalere l’etica della fratellanza e la sua messa in pratica, in qualsiasi regime. Non c’è democrazia né civiltà senza l’altro, senza riconoscere che l’altro è mio fratello. Inoltre, rinunciando a poteri assoluti, si rimane anche aperti al contributo dello Spirito di Dio che ispira i cuori e muove la storia, in modi inaspettati e fuori dalle tradizioni, dalle abitudini, e soprattutto fuori dagli interessi individuali e dagli egoismi strutturati. Anche oggi, come ai tempi di Mosè, la “profezia”, sia dei credenti che dei laici di buona volontà, può creare conflitti, ma se le si lascia spazio può anche disattivare ideologie antiumane e proporre cammini di pace e di riconciliazione. “Fraternità condivisa” e “amicizia sociale” – come li propone Papa Francesco nella enciclica Fratelli tutti –, sono basi per la democrazia e per dare strutture, norme e organismi utili a una convivenza civile e pienamente umana, secondo la visione cristiana della società.
Il cuore ferito
E qui vorrei riprendere le parole forti che ha pronunciato Papa Francesco a questo appuntamento importante per la Chiesa e per la società civile italiana. Perché dopo la diagnosi generale di crisi della democrazia “dal cuore ferito” anche nel nostro paese, egli ha proposto delle vie concrete di guarigione.
Perché come la crisi della democrazia è trasversale a diverse realtà e nazioni, allo stesso modo l’atteggiamento della responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali, è una chiamata per tutti noi cristiani. Siamo chiamati come credenti alla partecipazione attiva e responsabile alla vita sociale e politica, a tutti i livelli.
È vero che la partecipazione delle persone in generale oggi è debole, a causa della corruzione e della illegalità, ma anche a causa delle forme di esclusione sociale: “La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone”. E dove si è esclusi dalla partecipazione, non c’è democrazia, né giustizia né solidarietà.
Ma la partecipazione – ha detto Papa Francesco – “non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”. Quindi i cattolici devono promuovere “un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona”.
In concreto il Papa fa riferimento ai principi di solidarietà e di sussidiarietà: “…un popolo si tiene insieme per i legami che lo costituiscono, e i legami si rafforzano quando ciascuno è valorizzato. La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal “fare il tifo” al dialogare”.
Nella Fratelli tutti, il Papa ha scritto: “Finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale” (Fratelli tutti,110). Quindi “tutti devono sentirsi parte di un progetto di comunità; nessuno deve sentirsi inutile. Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale” E se si prendono le distanze dalla realtà sociale, c’è l’indifferenza, e l’indifferenza è un cancro della democrazia”.
Il cuore risanato
Poi il Papa incoraggia tutti a partecipare perché la democrazia assomigli a un cuore risanato. “Non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto pretendere di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”, e non per difendere privilegi. “Dobbiamo essere voce che denuncia e che propone, in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce.”
“Questo – afferma il Papa – è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause”. “Una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni. Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte”.
Esistono soluzioni facili o ricette applicabili a tutte le situazioni? No, ma i cattolici devono intervenire con creatività, confidando nello Spirito del Risorto! Del resto, non partiamo da zero, abbiamo una lunga storia in Italia e anche nelle nostre terre di impegno civile, sociale e politico. Non solo, abbiamo delle buone prassi da proporre. “Pensiamo – esemplifica Papa Francesco – a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti”. L’amore politico è carità concreta che entra e trasforma la storia di una società, stando al passo coi tempi.
Una democrazia ricca di valori
“Appassioniamoci al bene comune!” Ci spetta, dice il Papa, “il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e anche dell’ecologia integrale”.
E di qui il suo invito a “organizzare la speranza”. Anche in tempi come i nostri di guerre terribili e di ingiustizie diffuse, di grandi disuguaglianze, che causano la morte dei deboli, degli indifesi, dei poveri…: “La pace e i progetti di buona politica possono rinascere dal basso”.
Ed ecco la proposta: “Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa? Possiamo prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune”.
Facciamo nostro quindi l’augurio di Papa Francesco: “L’orizzonte del Giubileo ci veda attivi, pellegrini di speranza, per l’Italia di domani. Da discepoli del Risorto, non smettiamo mai di alimentare la fiducia, certi che il tempo è superiore allo spazio e che avviare processi è più saggio che occupare spazi. Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente, ma non si costruisce il futuro. Vi auguro di essere artigiani di democrazia e testimoni contagiosi di partecipazione”. Così sia!’