Papa Francesco ha ricevuto ieri per un’udienza privata una delegazione proveniente da Ravenna per la benedizione della croce donata nel 1965 da Paolo VI per la tomba di Dante che verrà ricollocata nella tomba del Poeta.
La croce, è una croce greca, con quattro ametiste incastonate alle estremità, collocata al di sopra della lastra marmorea di Pietro Lombardo. Fino a prima del recente restauro della Tomba era stata sostituita da una copia.
Nella ricorrenza del settimo centenario della nascita di Dante, Paolo VI con la lettera apostolica “Altissimi cantus”, datata 7 dicembre 1965, evidenziava il profondo interesse della Chiesa per la figura di Dante. La lettera apostolica completava la serie di iniziative attraverso le quali papa Montini volle esprimere l’ammirazione sua e di tutta la Chiesa per il cantore della Divina Commedia. Il 19 settembre dello stesso anno il Papa aveva inviato per la tomba del Poeta a Ravenna la croce d’oro, come segno della risurrezione che Dante professava.
La croce in particolare sanciva il riconoscimento di Dante quale figlio devoto della Chiesa, ponendo le sue reliquie sotto il segno fondamentale del mistero cristiano, respingendo l’idea sorpassata di un Dante eretico e ribelle. In particolare Paolo VI scrisse all’arcivescovo Baldassarri di Ravenna che la Divina Commedia è “poema dell’umanità, della civiltà, della filosofia e teologia, poema dell’unione e dell’armonia dell’ordine naturale con il soprannaturale, della vita presente con l’eterna”. “Onorate l’altissimo poeta!” è l’invito-appello con cui Paolo VI conclude l’ “Altissimi cantus”.
All’udienza hanno preso parte il sindaco Michele de Pascale, l’arcivescovo di Ravenna e Cervia Lorenzo Ghizzoni, il prefetto Enrico Caterino gli assessori Elsa Signorino e Massimo Cameliani, Antonio Patuelli, presidente dell’Abi e del gruppo La Cassa di Ravenna, Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, direttori e fondatori del Teatro delle Albe – Ravenna Teatro e un gruppo di giornalisti.
Dopo il ritrovo in Piazza San Pietro, la delegazione in attesa di incontrare il Santo Padre ha potuto visitare l’interno della chiesa di San Pietro. Successivamente, dopo aver percorso una lunga e maestosa scalinata, il gruppo è giunto alla Sala Clementina, stupenda stanza completamente affrescata e utilizzata dal Vaticano per le udienze private ma anche per esporre le salme dei pontefici prima della sepoltura. L’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni ha preso posto sul lato sinistro della sala, e dopo l’ingresso di Papa Francesco ha introdotto il motivo delle visita,ringraziando il Papa per valorizzare le celebrazioni dantesche e l’opera del Sommo Poeta, così importante per ognuno di noi.
Dopo le parole dell’arcivescovo, il Papa ha pronunciato il suo discorso, che si riporta di seguito.
Cari fratelli e sorelle!
Vi do il benvenuto e vi ringrazio di essere venuti a condividere con me la gioia e l’impegno di aprire le celebrazioni del 7° centenario della morte di Dante Alighieri. Ringrazio in particolare l’Arcivescovo Mons. Ghizzoni per le parole introduttive.
Ravenna, per Dante, è la città dell’“ultimo rifugio” [1] – il primo era stato Verona –; infatti, nella vostra città il poeta trascorse i suoi ultimi anni e portò a compimento la sua opera: secondo la tradizione furono composti là i canti finali del Paradiso.
Dunque, a Ravenna egli concluse il suo cammino terreno; e concluse quell’esilio che tanto segnò la sua esistenza e anche ispirò il suo scrivere. Il poeta Mario Luzi ha messo in evidenza il valore dello sconvolgimento e del superiore ritrovamento che l’esperienza dell’esilio ha riservato a Dante. Questo ci fa pensare subito alla Bibbia, all’esilio del popolo d’Israele in Babilonia, che costituisce, per così dire, una delle “matrici” della rivelazione biblica. In maniera analoga per Dante l’esilio è stato talmente significativo, da diventare una chiave di interpretazione non solo della sua vita, ma del “viaggio” di ogni uomo e donna nella storia e oltre la storia.
La morte di Dante a Ravenna avvenne – come scrive il Boccaccio – «nel dì che la esaltazione della Santa Croce si celebra dalla Chiesa».[2] Il pensiero va a quella croce d’oro che certamente il Poeta vide nella piccola cupola color blu notte, disseminata di novecento stelle, del Mausoleo di Galla Placidia; o a quella, gemmata e “lampeggiante” Cristo – per usare l’immagine del Paradiso – (cfr XIV, 104), del catino absidale di Sant’Apollinare in Classe.
Nel 1965, in occasione del VII centenario della nascita, San Paolo VI fece dono a Ravenna di una croce d’oro per la sua tomba, rimasta fino ad allora – come egli disse – «priva d’un tale segno di religione e di speranza» (Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana, 23 dicembre 1965). Quella stessa croce, in occasione di questo centenario, tornerà a splendere nel luogo che conserva le spoglie mortali del Poeta. Che possa essere un invito alla speranza, quella speranza di cui Dante è profeta (cfr Messaggio nel 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri, 4 maggio 2015).
L’auspicio è dunque che le celebrazioni per il VII centenario della morte del sommo Poeta, stimolino a rivisitare la sua Commedia così che, resi consapevoli della nostra condizione di esuli, ci lasciamo provocare a quel cammino di conversione «dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’inferno a quella beatificante del paradiso» (S. Paolo VI, Lett. ap. m.p. Altissimi cantus, 7 dicembre 1965). Dante, infatti, ci invita ancora una volta a ritrovare il senso perduto o offuscato del nostro percorso umano.
Potrebbe sembrare, a volte, che questi sette secoli abbiano scavato una distanza incolmabile tra noi, uomini e donne dell’epoca postmoderna e secolarizzata, e lui, straordinario esponente di una stagione aurea della civiltà europea. Eppure qualcosa ci dice che non è così. Gli adolescenti, ad esempio – anche quelli di oggi –, se hanno la possibilità di accostarsi alla poesia di Dante in una maniera per loro accessibile, riscontrano, da una parte, inevitabilmente, tutta la lontananza dell’autore e del suo mondo; e tuttavia, dall’altra, avvertono una sorprendente risonanza. Questo avviene specialmente là dove l’allegoria lascia lo spazio al simbolo, dove l’umano traspare più evidente e nudo, dove la passione civile vibra più intensa, dove il fascino del vero, del bello e del bene, ultimamente il fascino di Dio fa sentire la sua potente attrazione.
Allora, approfittando di questa risonanza che supera i secoli, anche noi – come ci invitava a fare San Paolo VI – potremo arricchirci dell’esperienza di Dante e compiere felicemente il nostro pellegrinaggio nella storia, per giungere alla meta sognata e desiderata da ogni uomo: “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (Par. XXXIII, 145) (cfr Messaggio nel 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri, 4 maggio 2015).
Grazie ancora per questa visita, e auguri di ogni bene per le celebrazioni centenarie. Con l’aiuto di Dio, l’anno prossimo mi propongo di offrire a tale riguardo una riflessione più ampia. Benedico di cuore ciascuno di voi, i vostri collaboratori e l’intera comunità ravennate. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
Concluso il suo taccante discorso, il Papa ha poi benedetto la croce e ricevuto il regalo portato dalla delegazione: una serie di incisioni edita a memoria della costruzione della Tomba di Dante, commissionata nel 1780 da Luigi Valenti Gonzaga (1725-1808), cardinal legato a Ravenna.
A conclusione della visita, il Papa ha poi salutato ogni membro della delegazione ravennate, questo toccante momento ha siglato la conclusione dell’udienza, che certamente lascerà un grande ricordo in ognuno dei partecipanti.