Il primo trittico d’opera della Trilogia d’Autunno 2018 si completa con l’arrivo in scena di Otello, il terzo dei capolavori verdiani della straordinaria maratona lirica che conclude la XXIX edizione di Ravenna Festival. Dopo la Babilonia di Nabucco e la Mantova di Rigoletto, domenica 25 novembre, alle ore 15.30, il viaggio continua alla volta dell’isola di Cipro, dove si consuma il dramma di gelosia e inganno dell’Otello. La produzione, che torna sul palcoscenico sul quale aveva debuttato nel 2013, è sempre firmata alla regia da Cristina Mazzavillani Muti, alla guida di un team creativo che si avvale delle più moderne tecnologie; in buca l’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, che accompagna tutta la Trilogia e che in Otello è diretta da Nicola Paszkowski. La Trilogia continua fino al 2 dicembre, con altri due trittici che porteranno nuovamente in scena Nabucco (27 e 30 novembre), Rigoletto (28 novembre e 1 dicembre) e naturalmente Otello (29 novembre e 2 dicembre). Perché in fondo, come sottolinea la regista, “Verdi non basta mai: più affondi le mani nel suo teatro e più ti accorgi della grandezza o, meglio, della compiutezza della sua scrittura”.
Sono tutti al debutto nel ruolo i protagonisti dell’Otello, a conferma del valore della Trilogia come trampolino di lancio e palestra per nuovi talenti: Otello è il tenore georgiano Mikheil Sheshaberidze, mentre Jago e Desdemona sono rispettivamente Luca Micheletti ed Elisa Balbo. Interpreta Cassio Giuseppe Tommaso, mentre veste i panni di Roderigo Giacomo Leone. Lodovico, Montano ed Emilia sono Ion Stancu, Paolo Gatti e Antonella Carpenito. Il Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”, che come la Cherubini contribuisce all’intera Trilogia, è guidato da Martino Faggiani e Massimo Fiocchi Malaspina; il Coro di Voci Bianche Ludus Vocalis è invece preparato da Elisabetta Agostini. Accanto a Cristina Muti, il lighting designer Vincent Longuemare e Alessandro Lai per i costumi.
Penultima delle opere di Verdi, Otello – al pari di Falstaff che la segue sei anni più tardi – attinge dall’amatissima materia shakespeariana: ne nasce un dramma lirico in quattro atti su libretto di Arrigo Boito, con il quale Verdi aveva già lavorato qualche anno prima alla seconda versione del Simon Boccanegra. Come gli altri due titoli di questa Trilogia, Otello è segnato dal graffio del potere, dai suoi sottoprodotti e dalle sue conseguenze. La sete di potere spinge alla guerra babilonesi ed ebrei nel Nabucco, inebria il Duca di Mantova nel calpestare morale e sentimenti nel Rigoletto, è la ragione dell’inganno ordito da Jago. Così il seggio dorato che compare nei primi due allestimenti non può mancare in Otello, al pari dello stuolo di cortigiani (sempre attuali, in ogni tempo e in ogni luogo) che attraversa l’intera trilogia; entrambi simboli e sintomi del potere e delle sue corruzioni. Il contrasto che unisce e separa Otello e Desdemona si traduce sul palco in una teoria di luci ed ombre. D’altronde è difficile immaginare Otello in un’epoca che non sia il tenebroso Seicento di Caravaggio o di Rembrandt: una lunga, lunghissima notte che si apre proprio con la tempesta che infuria su Cipro, immagine presaga del dramma a venire, del mondo oscuro e violento dove i personaggi, quando li cattura la luce, sono ferite aperte nel tessuto della notte.
La versione verdiana del dramma subito svela le tensioni politiche che oppongono l’alfiere Jago a Otello, il moro generale dell’Armata Veneziana: avido di rivalsa ai danni di Cassio, l’ufficiale che usurpa il suo grado di capitano, Jago coinvolge nella propria rete di inganni Roderigo, gentiluomo veneziano innamorato della sposa di Otello, Desdemona. Suscitando la gelosia di Otello, che abilmente convince dell’infedeltà di Desdemona proprio con Cassio, Jago ne determina la rovina: Otello presto perde il controllo di Cipro quanto di se stesso, finendo per uccidere Desdemona e – quando realizza il proprio errore – se stesso. In Otello il coro si limita a dipingere le situazioni, lasciando spazio assoluto all’individualità del personaggio: “ovvero l’uomo che, nelle sue infinite sfaccettature, può essere tutto e il contrario di tutto – nota la regista – come accade nella vita, e nel teatro più puro”. D’altronde lo stesso Jago confessa: “Son scellerato perché son uomo; e sento il fango originario in me” (atto II, scena II) e così dissipa l’illusione che la sua natura sia demoniaca; la sua crudeltà, la sua malizia sono completamente umane.
La Trilogia è resa possibile dal sostegno del Comune di Ravenna, della Camera di Commercio, della Regione Emilia Romagna e del Ministero per i beni e le attività culturali, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, di BPER Banca, Hormoz Vasfi e Unipol Banca.