Italianità – senza retorica; distillata, invece, da quel patrimonio unico al mondo che è parte integrante della nostra storia e quindi della nostra identità, ovvero il melodramma. È questa la grande lezione, musicale ma anche culturale ed etica, che Riccardo Muti insegna nella sua Accademia a Ravenna: dal 18 al 31 luglio il Teatro Alighieri accoglie la VI edizione di un percorso di scoperta che accompagna giovani direttori, maestri collaboratori e il pubblico dritti al cuore dell’opera. Dalla presentazione delle opere al piano di sabato 18, alle prove con orchestra e cantanti dal 19 al 27, fino ai concerti finali del 29 e 31 luglio, diretti rispettivamente da Muti stesso e dai suoi allievi, Cavalleria rusticana e Pagliacci sono l’oggetto di due settimane di studio intenso e meticoloso. L’orizzonte di quest’impresa? Restituire a tutti il tesoro incomparabile di partiture che “si rivelano straordinarie se affrancate da effetti ed effettacci – sottolinea Muti – la mia è una crociata contro le indebite consuetudini e i fraintendimenti con cui il melodramma italiano è spesso presentato sui palcoscenici di tutto il mondo. Ma in queste opere non c’è una sola battuta di cui si possa fare a meno”.
“Ci vuole una cura attenta alla dinamica, alla timbrica, al fraseggio che non deve essere da trivio, mantenendo una nobiltà che esiste anche in una società rurale – continua Muti nel commentare la scelta di Cavalleria rusticana – Quando si canta ‘O che bel mestiere, fare il carrettiere’, ripenso ai carri dei contadini che di notte passavano sotto le mie finestre a Molfetta per andare in campagna. Io vengo da lì, sento un’aderenza a questi temi, una familiarità che riflette la cultura in cui sono cresciuto”. E anche la musica di Pagliacci “vive di italianità: per passionalità, violenza di emozioni”, che rischiano di diventare caricaturali soltanto nelle mani di interpreti impreparati e noncuranti, perché “nelle opere del verismo la retorica dev’essere alata, non compiaciuta. Quella del verismo è una musica che batte la grancassa, è un pugno nello stomaco. La violenza c’è, come la delicatezza: non l’assecondo e non la trascuro, va sublimata e controllata, ma non raffreddata”.
Dopo quattro edizioni dedicate a Verdi – da Falstaff a La traviata, da Macbeth ad Aida – e Le nozze di Figaro di Mozart, un’opera italiana sotto ogni punto di vista, Cavalleria rusticana e Pagliacci appaiono la scelta più naturale nell’itinerario dell’Accademia, che Muti ha fondato nel 2015 per condividere il sapere appreso dai maestri – Antonino Votto e, per suo tramite, Arturo Toscanini – e affinato attraverso una lunga carriera di infaticabile studio e podi di valore, alla guida delle grandi orchestre. L’Accademia è la manifestazione concreta e organica di una missione che Muti ha accettato come il più sacro dovere, ovvero trasmettere il patrimonio irrinunciabile dell’opera italiana alle nuove generazioni; la controparte, insomma, di quei suoi ripetuti e ricorrenti appelli alla necessità di investire nell’educazione musicale, nella crescita culturale, artistica e quindi anche civile del nostro Paese. Non a caso sul palcoscenico dell’Alighieri (e quindi al centro del progetto dell’Accademia) c’è sempre l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, creata da Muti nel 2004 e composta da musicisti under 30 provenienti da tutta la penisola. Rigorose audizioni caratterizzano anche l’accesso all’Accademia, che ogni anno seleziona i giovani direttori e maestri collaboratori partecipanti (tutti under 35) fra le centinaia di domande di ammissione che arrivano da tutto il mondo, dai conservatori e dagli istituti più prestigiosi.
Non meno significativo che l’Accademia segni quest’anno anche la riapertura del Teatro Alighieri, dopo il lungo silenzio imposto dalle misure cautelative legate all’emergenza sanitaria. Per un gioiello ottocentesco quale l’Alighieri, teatro che non solo rappresenta pienamente la ricca tradizione lirica italiana ma contribuisce a perpetuarla, il ritorno all’attività non potrebbe essere più felice: con Muti, l’Orchestra Cherubini, gli allievi e il pubblico di studenti e appassionati, il Teatro respira di nuovo musica. Così l’Accademia, già nella duplice veste di momento di alta formazione e di luogo eletto per la promozione dell’opera italiana, diventa anche parte della ripartenza della cultura in Italia e restituisce alla Città il suo teatro principale. All’Alighieri saranno naturalmente applicati tutti i protocolli necessari per tutelare la sicurezza degli artisti, dello staff e del pubblico, a partire dal distanziamento sociale.
L’edizione 2020 dell’Accademia è realizzata con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Comune di Ravenna e grazie al contributo degli sponsor che sostengono questo progetto formativo: Fondazione Raul Gardini, TIM, Barilla, Gruppo Maggioli e The Shillman Foundation; media partner QN Quotidiano Nazionale. Si ringrazia inoltre la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.