Dopo tre giorni di camera di consiglio, a Ravenna, giovedì, è stata emessa la sentenza del Processo Radici. Le condanne raggiungono, in totale, quasi 90 anni di pena, le più pesanti quelle tra gli 11 e i 10 anni per Francesco e Rocco Patamia, ritenuti dall’accusa a disposizione della cosca di ‘ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro.

Al centro del processo – che attraversa l’Emilia e la Romagna e in cui Libera Contro le Mafie si è costituita parte civile – una presunta associazione criminale radicata nei territori dell’Emilia-Romagna, riconducibile alle famiglie di ‘ndrangheta dei Piromalli e dei Mancuso, con lo scopo di commettere delitti contro il patrimonio quali bancarotte, intestazioni fittizie, autoriciclaggio, estorsioni, ma anche delitti contro la persona come lesioni personali, caporalato, minacce, violenze private.

“I giudici hanno confermato la quasi totalità dell’impianto accusatorio e in molte delle posizioni hanno riconosciuto il metodo mafioso, tra reati economici e violenza” commenta oggi Libera Contro le Mafie. “A riprova, ancora una volta, di meccanismi di infiltrazione nell’economia legale sempre più diffusi e sviluppati sul territorio, a scapito di chi cerca di operare in maniera onesta, in questo caso tra Reggio Emilia, Cesenatico, Cervia, Bagnacavallo, Imola, Modena, Vignola e Reggio Emilia. Ora, come sempre, attendiamo le motivazioni per capire a fondo il sistema portato avanti sul territorio mentre continuiamo a seguire il filone processuale che si sta celebrando nel Tribunale di Modena e in cui, anche in questo caso, siamo costituiti parte civile”.

Fra le parti civili anche Cgil Emilia-Romagna e Camera del Lavoro di Forlì/Cesena, rappresentate dagli avvocati Andrea Ronchi e Andrea Gaddari, che oggi esprimono soddisfazione per questa sentenza, al termine di un dibattimento che ha dimostrato come il grave sfruttamento lavorativo e il caporalato siano realtà presenti nel nostro territorio anche in settori come quello del turismo , della ricezione alberghiera, dell’artigianato dolciario:
“La Cgil già prima del processo  aveva patrocinato i lavoratori sfruttati e segnalato alle autorità la gravità dei fatti, svolgendo un ruolo attivo di sentinella del territorio. La sentenza di oggi, di cui leggeremo attentamente le motivazioni una volta depositate,  ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno all’organizzazione sindacale così come al lavoratore che si era coraggiosamente costituito parte civile.
Ancora una volta è dimostrato che, dove non c’è legalità, il sindacato  è leso nel suo ruolo costitutivo di rappresentanza e di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e pertanto continueremo il nostro impegno per contrastare i fenomeni degenerativi che sottraggono  libertà e dignità delle persone.
Il processo Radici era nato da una indagine di Polizia e Guardia di Finanza che tra il 2018 e il 2022 ha scoperchiato gli investimenti illeciti nell’industria alberghiera e dolciaria di una potente organizzazione insediata in Emilia-Romagna e collegata a note famiglie della ‘ndrangheta calabrese. Il dibattimento ha confermato la carica di violenza verbale e fisica con la quale membri dell’organizzazione imponevano alle loro vittime, in particolare lavoratori in stato di bisogno e imprenditori in difficoltà finanziaria, la forza brutale della cosca. Che colpiva non solo le singole persone, ma i diritti complessivi del mondo del lavoro e le prerogative sindacali”.