Lo scorso 10 gennaio la Corte di Cassazione ha messo la parola fine al processo “Black Monkey” chiudendo il cerchio delle indagini emerse pubblicamente nel 2013 con i primi arresti. Nessun ricorso è stato ritenuto ammissibile, per cui la verità giudiziaria confermata è quella emersa dalla sentenza della Corte d’Appello del 2017: non sussistono i requisiti per parlare di mafia, a differenza di quanto aveva stabilito la sentenza di primo grado.
«Fin dall’inizio della vicenda ci siamo sentiti coinvolti in prima persona perché le vicende che sono emerse in sede di indagine e poi processuale toccavano direttamente il nostro territorio provinciale; infatti gran parte dei soggetti di primo piano condannati risiedevano in Bassa Romagna, a partire proprio da Nicola Femia detto “Rocco”, già noto alle forze dell’ordine per una vecchia condanna a 26 anni per narcotraffico internazionale»,……l spiega Libera, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti per sollecitare la società civile nella lotta alla criminalità organizzata.
«Se la vicenda giudiziaria è terminata, restano vere le vicende che da anni abbiamo raccontato negli incontri, nei convegni e nelle scuole ai ragazzi. È importante ricordare come nelle motivazioni dell’appello siano ampiamente confermati i contatti con le mafie: “i collegamenti ed i rapporti di Femia con esponenti di organizzazioni mafiose non sono determinanti per dare la medesima qualificazione al gruppo da lui costituito che, una volta sorto ed in piena operatività, deve acquisire autonoma vitalità, non mutuabile dal carisma soggettivo del capo e tanto meno dalle relazioni personali di quest’ultimo”. Ricordiamo che durante il processo erano emersi diversi elementi utili per riconoscere come mafiosa l’associazione, ma che molti testimoni avevano affermato di non ricordarsi episodi avvenuti mesi o anni prima. Episodi che, a nostro avviso, non sono di secondo ordine, come quel coltello puntato alla gola del proprietario di un bar in provincia di Ravenna che voleva cambiare società da cui noleggiare le slot-machine, perché si era accorto che qualcosa non andava; oppure le lettere minatorie, come quelle arrivate a casa di Marina Pignari, ex collaboratrice di una delle società di gioco d’azzardo, da cui Femia o il figlio Rocco Maria Nicola, pretendevano il pagamento di una somma di denaro. Roberto Bacchilega, marito della Pignari, durante la sua testimonianza ricordava: “Quando facevano gruppo, tipo arrivavano nell’azienda per parlare con Marina, arrivavano due, tre quattro macchine e c’erano sempre due, tre persone per macchina, e davano un po’ l’impressione del …. Mettevano un po’ di pressione psicologica; non arriva una persona per parlare con Marina, arrivavano in sette, otto dieci tipo accompagnatori di cortesia, ma le facce non erano mai facce di carnevale, erano sempre facce abbastanza scure”. Prima tra tutte per chiarezza e gravità è poi la minaccia a Giovanni Tizian, all’epoca giornalista della Gazzetta di Modena, che aveva scritto un paio di articoli sugli affari di Nicola Femia, articoli scomodi, che danno fastidio all’associazione. Per risolvere la questione si mise a disposizione Guido Torello, che al telefono con Femia parla così: “Va beh, mi dici come si chiama il giornale e il no… il no… il nominativo, eh… eh… eh… lo facciamo smettere immediatamente”; subito dopo, al telefono con un conoscente con cui parla per risolvere la questione, Torello dice: “C’è un giornalista che rompe le balle a una persona che mi sta aiutando, eh… eh… ti dirò chi è, eh… e ‘sto giornalista e se ci arriviamo, o la smette o gli sparo in bocca, è finita lì”.
Non episodi qualsiasi, ma, appunto, minacce, estorsioni, pestaggi, intimidazioni, lettere minatorie e incendi, ovvero fatti che continueremo a raccontare ogni volta che ce ne sarà la possibilità.
Tutto questo, però, per i giudici non è stato ritenuto sufficiente perché manca, come si legge nelle motivazioni dell’appello, “la prova di un esercizio concreto e percepito fra i cittadini, neppure nell’ambito delle categorie interessate dall’attività ‘commerciale’ dell’associazione in un determinato territorio, della forza di intimidazione che deve derivare direttamente dal sodalizio”. Conoscendo il nostro territorio anche questo purtroppo non ci stupisce. La reazione delle grandi e piccole aziende del settore dopo l’indagine è stata nulla, come praticamente nulle erano state le denunce e le segnalazioni da parte di chi viveva, negli anni precedenti, quel settore “drogato” da una semplice associazione che agiva talvolta con metodo mafioso. Una scia di silenzio che si è prolungato nei “non ricordo” molte volte detti nelle aule di tribunale e che, purtroppo, continua ad allungarsi. Nonostante ci sia stata la sentenza definitiva della Cassazione, nonostante aziende del settore del nostro territorio siano state colpite da interdittive antimafia, nemmeno i media sembrano avere più la forza per raccontare queste vicende e problematiche.
Noi continueremo a farlo, continueremo il racconto delle violenze e minacce nel nostro territorio, aggiungeremo il tassello della “verità giudiziaria” definitiva emersa poche settimane fa, continueremo a parlare di mafia che evolve anche seguendo la definizione che ne davano i giudici di primo grado: “Mafia oggi sempre più sta diventando una modalità di organizzare attività illecite e parallele secondo le logiche dell’economia diffusa (non più quindi solo ‘pizzo’ e affini, ma imprenditoria con aspirazioni monopolistiche oppure oligopolistiche), senza però prescindere, all’occorrenza, dai consueti metodi illegali al fine di insediarsi e consolidarsi. Il consenso sociale, in altre parole, può essere tanto estorto agli altri operatori economici, quanto provenire dai vantaggi offerti dalla condivisione di attività illecite. In altri termini, le mafie oggi sono soggetti mutanti, e ciò, per coerenza, impone anche una rivisitazione delle norme incriminatrici”.
Una cosa, però, risulterà difficile a farsi, cioè spiegare che cosa si possa definire “mafia” dopo quest’ultima sentenza. La domanda che continuiamo a farci è una sola: “Nel 2021, in Romagna, cosa può essere definito come mafia?»