Sarà non tanto e non solo una scampagnata: luogo di delizie e di svago, certo, ma anche pagina di storia faentina, la sorgente di San Cristoforo è quella di più antico utilizzo a fini terapeutici per l’intera Romagna. Anche tralasciando la prima citazione, effettivamente vaga, del 1289, risale al 1495, quindi all’epoca manfrediana, la scoperta delle “virtù curative” di queste acque, tecnicamente “fossili”, imprigionate nel sottosuolo, sigillate da terreni impermeabili (in questo caso argille) e venute alla luce in un dato momento mantenendo l’alto contenuto salino originario.
Ce lo spiega il medico faentino Mengo Bianchinelli in un trattato del 1513 dove le fonti sono accuratamente descritte e paragonate a quelle, già famose, di Montecatini e di Porretta. Il cerusico asserisce che queste acque sono una panacea per i mali di stomaco, fegato e reni. In seguito altri studiosi le citano, ma un’autentica riscoperta avviene nel 1761 quando il Borsieri, medico trentino trapiantato a Faenza, dà alle stampe un nuovo opuscolo in cui attribuisce alle acque proprietà medicamentose per una serie interminabile – e anche improbabile alla luce delle odierne conoscenze – di malattie, dal gozzo all’itterizia fino alla rabbia.
La stagione aurea per questa, come per altre acque termali italiane (con la differenza che quella di San Cristoforo è fredda), è collocabile nel Novecento, in particolare fra gli anni ’20 e ’30 quando il Comune di Faenza costruì serbatoi di raccolta, un chiosco in muratura e promosse imbottigliamento, smercio e soggiorni in loco. I “bevilacqua” potevano contare su una fermata del treno – e il casello esiste ancora – da cui con servizio di autobus oppure a piedi raggiungevano il luogo. A quell’epoca risale l’edificio-locanda, che potrà esser visitato anche internamente grazie alla cortesia della proprietà. Si potrà accedere anche all’ariosa terrazza con loggia al primo piano dove campeggiano tre pregevoli ceramiche a muro delle Fornaci Bubani con i ritratti di Borsieri, di Alberico Testi (primario dell’Ospedale e promotore di varie iniziative di valorizzazione della zona, inclusa la Colonia di Castel Raniero) e ovviamente del San Cristoforo che traghetta il Bambino.
Agli anni Sessanta risale invece l’antistante pista da scattinaggio, naturalmente usata più come balera e poi come ristorante all’aperto fino al 1989.
Recentemente riaperta in occasione del “Festival dei Calanchi” a cura del Museo Zauli, la locanda conserva la fascinosa atmosfera di decenni fa, con tutti gli arredi d’epoca; si potranno vedere anche due magnifiche tele dipinte da Giovanni Pini, con due paesaggi di anfiteatri calanchivi.
Il chiosco originario è stato restaurato cinque anni fa dal Comune, con rifacimento di uno dei mascheroni tardo-liberty in terracotta e sistemazione dell’area verde circostante. Il ripristino della sorgente in senso idraulico, invece, non è stato possibile.
E’ richiesto un contributo destinato a fini culturali di 5 euro; 3 euro per i soci Pro Loco Faenza.
Ritrovo ore 15, con mezzi propri, al parcheggio di centro commerciale in Via Canalgrande.
Prenotazione obbligatoria, posti limitati, comportamenti adeguati alle normative di emergenza sanitaria.