“Uno spartiacque tra passato e futuro nel settore della difesa idraulica e idrogeologica del territorio”. A maggio l’Emilia-Romagna è stata colpita da un evento che per portata, intensità e vastità del territorio interessato, non ha precedenti nel passato (da quando nel 1921 si sono iniziati a raccogliere i dati idrologici), con una “maggiore severità anche rispetto all’alluvione del 1939”.
A metterlo nero su bianco, con un’ampia e articolata comparazione dei dati disponibili, sono i professori Armando Brath (Università di Bologna, coordinatore), Nicola Casagli (Università di Firenze), Marco Marani (Università di Padova), Paola Mercogliano (Cmcc, Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici), Renzo Motta (Università di Torino).
La Commissione tecnico-scientifica è stata incaricata dalla Regione – prima della nomina a commissario per la ricostruzione del generale Figliuolo – di stilare un Rapporto sugli eventi meteorologici estremi del mese di maggio 2023.
Delle quasi 150 pagine del documento, 98 sono dedicate all’analisi puntuale di quanto accaduto: dai 23 fiumi esondati contemporaneamente, per un volume di esondazione stimato in circa 350 milioni di metri cubi, circa 11 dighe di Ridracoli, che ha provocato allagamenti in pianura su circa 540 chilometri quadrati quadrati di territorio (distribuiti pressoché nell’intera area romagnola, con interessamento anche della regione in destra del Reno e, per il primo dei due eventi, anche dei bacini del Panaro e del Secchia); alle 65.598 frane – scivolamenti rapidi in terra o detrito, colate di fango, scivolamenti in roccia – censite su un’area di 72,21 chilometri quadrati; alle 1.950 infrastrutture stradali coinvolte da dissesto (il 3,6% dell’intero tracciato stradale delle sei province colpite, di cui il 36,2% delle comunali e il 35,7% di quelle vicinali a uso pubblico, e il 18,5% delle private).
“Un evento senza precedenti nella storia osservata” scrivono gli esperti, con tempi di ritorno – grandezza statistica che esprime la probabilità che un evento accada – “in alcuni casi molto superiori ai 500 anni dove le esondazioni sono state più significative”. Parliamo soprattutto dei bacini di Senio, Lamone e Montone, con un ruolo decisivo della rete artificiale di scolo presente in pianura (reticolo di bonifica e Canale Emiliano-Romagnolo) che ha inciso sulla dinamica di propagazione delle inondazioni. Ancora più alta, quasi inestimabile e nell’ordine di qualche migliaio di anni, la probabilità di accadimento dei due eventi come quello del 2-3 maggio e quello del 16-17 maggio. E proprio il susseguirsi dei due eventi ha portato le conseguenze note dal momento che i terreni erano già saturi e avevano impermeabilizzato i suoli che non riuscivano più a ricevere.
Elementi e considerazioni che per la ricostruzione consigliano, anziché una semplice riproposizione di modelli di intervento tipici del passato, di sviluppare percorsi di approfondimento tecnico-scientifico per implementare nuove modalità di intervento e agire su più fronti, con interventi non strutturali e strutturali.
“Abbiamo affrontato qualcosa di difficilmente immaginabile. Ce lo dice anche la Commissione esterna, di elevato profilo tecnico-scientifico, che abbiamo incaricato per effettuare valutazioni specifiche e qualificate sull’evento di maggio, per aggiornare il quadro conoscitivo e fornire indicazioni per una futura corretta gestione del rischio idraulico e idrogeologico nella regione- sottolinea la vicepresidente con delega alla Protezione civile, Irene Priolo-. Quello che ci restituisce, inoltre, è un’elevata complessità che non potrà essere affrontata con un’unica soluzione: approfondiremo le indicazioni contenute in questo Rapporto per la pianificazione degli interventi futuri e utilizzeremo queste preziose indicazioni tecniche per impostare la ricostruzione. L’apporto della comunità scientifica è fondamentale, tenendo conto anche dell’orizzonte in cui ci muoviamo, e su cui impattano pesantemente i cambiamenti climatici. Comprendere bene gli eventi e cosa hanno significato era necessario per aiutarci ad individuare le scelte corrette di fronte ad un evento così complesso. Bisogna cambiare paradigma rispetto all’approccio tradizionale alla luce di statistiche completamente stravolte”.
Caratterizzazione dei movimenti gravitanti di versante
Dopo un’accurata analisi della caratterizzazione idrologico-idraulica dell’evento con la valutazione dei volumi di pioggia caduti sui bacini, anche in sede storica, il Rapporto prosegue con una sezione dedicata alle frane. Base dell’analisi, l’accurata mappatura effettuata dalla Regione Emilia-Romagna che evidenzia come oltre 65mila frane abbiano completamente sconvolto il territorio. Di queste solo 576 hanno un’estensione superiore all’ettaro ma le restanti, seppur piccole, sono caratterizzate dall’essere veloci (si parla in tanti casi di spostamenti di metri al secondo) e per questo molto distruttive.
Le curve della distribuzione delle frane censite, di cui il 78,5% di neoformazione, evidenzia ancora di più l’eccezionalità di entrambi gli eventi meteorologici, e ancor più della loro concomitanza, sia dal punto di vista della vastissima estensione del territorio coinvolto, sia dal punto di vista delle quantità di pioggia caduta. In particolare, l’evento del 15-17 maggio è stato caratterizzato non solo da una maggiore intensità ed estensione, ma anche, a differenza del primo, da condizioni iniziali di totale saturazione dei suoli. La maggiore densità delle frane rilevate e mappate è localizzata effettivamente nelle aree dove sono cadute le quantità massime di pioggia nelle province di Bologna, Ravenna e Forlì-Cesena.
I principali cambiamenti dell’uso del suolo
Il Rapporto dedica poi ampio spazio all’analisi di cambiamenti dell’uso del suolo in Emilia-Romagna nel corso degli anni e agli elementi che possono incidere sul rischio idraulico. A partire dal ruolo esercitato dalla copertura forestale nel prevenire o mitigare il dissesto: “Un’azione regimante importantissima e fondamentale ma quando si verificano eventi meteorici eccezionali la capacità di ritenzione viene saturata”. La foresta (indipendentemente da densità composizione, struttura e modalità di gestione) non può impedire le ondate di piena quando si verificano eventi di intensità e durata tali da saturare l’effetto “spugna”. Gli esperti sottolineano che la copertura forestale in Emilia-Romagna, tra il 1954 e il 2017, si è estesa su 287.543 ettari di nuova superficie (neoformazione), a fronte di una contrazione di 58.717 ettari (deforestazione), con un bilancio perciò nettamente a favore dell’espansione della foresta.
E poi la vegetazione sugli argini dei fiumi e corsi d’acqua che svolge, da un punto di vista idraulico, “un ruolo di fondamentale importanza durante gli eventi di piena: aumenta la scabrezza, cioè la resistenza che l’acqua incontra scorrendo e quindi protegge le sponde dall’erosione, rallenta la velocità del flusso ed intrappola sedimenti e materiali trasportati dalla corrente”. Ragion per cui è consigliato dagli esperti un taglio di tipo selettivo e colturale, mantenendo una copertura di alberi e arbusti non inferiore al 20%.
Infine, la relazione tra rischio idraulico e consumo di suolo. L’Emilia-Romagna è la regione con la maggiore superficie compresa nelle aree a pericolosità media P2 (oltre il 45% del territorio regionale). Un dato sovrastimato, dicono gli esperti, dal momento che l’Emilia-Romagna, a differenza delle altre Regioni, “ha deciso di considerare nella mappatura anche le aree che risultano allagabili da parte del reticolo artificiale di pianura (ovvero dalla rete di bonifica), anziché soltanto quelle interessate dall’esondazione dal reticolo idrografico naturale”, decisione che di fatto fa ricadere in area P2 tutta l’area di pianura.
Elementi che portano gli esperti a concludere che, oltre a proseguire nel controllo severo sul consumo di suolo, le prime e indispensabili misure preventive di mitigazione del rischio sono la redazione e l’applicazione di Piani forestali di indirizzo territoriale.
I cambiamenti attesi di precipitazioni negli scenari climatici futuri
Il Rapporto, prima di passare alle conclusioni, prende in considerazione sette bacini (Idice, Sillaro, Santerno, Senio, Lamone, Montone e Ronco) e, tra le altre cose, estrae proiezioni climatiche dei massimi annuali delle piogge previste per il periodo 2041-2070 sulla base di due diversi scenari emissivi, ma evidenzia, allo stesso tempo, come questi dati possono essere solo una prima valutazione perché analisi di questo tipo devono necessariamente essere basate sull’uso di proiezioni fornite non da un unico modello climatico ma da più modelli in modo da poter caratterizzare adeguatamente l’incertezza delle previsioni.
Gli esiti dello studio
Alla luce della portata degli eventi, la Commissione, nella parte conclusiva del Rapporto, ritiene quindi che un’opportuna proposta operativa di gestione territoriale debba essere basata sulla combinazione di interventi non strutturali e strutturali di mitigazione del rischio.
Tra i non strutturali, emerge la necessità di aumentare le attuali capacità di previsione degli aspetti meteorologici, idraulici e idrogeologici, attraverso dati ad alta risoluzione, la costruzione di gemello digitale idrogeologico regionale (digital twin) e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei big data; una nuova redazione dei principali strumenti in ambito di pianificazione; l’esecuzione di accurate modellazioni specifiche di scenario per valutare gli effetti della rete artificiale di scolo su inondazioni future; migliorare la pianificazione di Protezione civile, portando a piena conoscenza di tutti cittadini sia il sistema di allertamento che i piani, mediante esercitazioni e il pieno utilizzo dei moderni sistemi di comunicazione; ancora, la necessità di procedere ad attente verifiche sulla pianificazione del territorio, che vadano ad agire sulla riduzione del consumo di suolo e il ripristino delle aree di pertinenza fluviale.
Tra gli interventi strutturali, è sottolineata la necessità di opere di ingegneria opportunamente progettate e realizzate, anche attraverso l’utilizzo delle più recenti innovazioni nel settore; per quanto riguarda le frane, occorre realizzare opere di stabilizzazione di singoli versanti e di regimazione delle acque superficiali; per i fenomeni alluvionali, è necessario costruire nuove opere di laminazione delle piene, realizzare interventi strutturali indirizzati a restituire maggiore spazio ai fiumi e predisporre nuovi piani di gestione del verde.