“A pochissimi giorni dalla nostra lettera aperta, inviata lo scorso 24 maggio al Sindaco di Ravenna, alla Sindaca di Russi e per conoscenza alle figure referenti del Decentramento, dobbiamo constatare la mancanza di risposte ai nostri interrogativi e di qualsivoglia commento alle nostre riflessioni” è il commento del coordinamento ravennate di Per il Clima – Fuori dal Fossile.

“Alle porte dell’abitato di San Pancrazio, nel Comune di Russi, i lavori del cantiere procedono “a tambur battente”, con profonde ed estese escavazioni, interessanti un’area di più ettari, occupante tutto lo spazio fra la strada carrabile e l’argine sinistro del Fiume Montone, e movimentazione di gigantesche quantità di terra. Si tratta dei lavori per la costruzione del tratto nord del gasdotto “Linea Adriatica”, ma la grande estensione della zona escavata non crediamo sia giustificata dalla posa di un tubo, per quanto voluminoso. Pensiamo, pertanto, sia lecito domandarsi e domandare, quale struttura “di sevizio” necessiti di questa enorme superficie. Intanto constatiamo il considerevole consumo di suolo (agricolo e in zona significativamente colpita dall’allagamento conseguente all’alluvione del 2023).

A destra del fiume Montone, in direzione dell’abitato di Roncalceci, raggiungibili da Via Ragone, altre opere di ampia escavazione vanno avanti rapidamente laddove pochi giorni fa vi era solo una  picchettatura”.

Secondo gli ambientalisti: “È l’ennesima opera di asservimento al modello fossile, sulla quale come Campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile”, a Ravenna e in tutti i luoghi interessati dal percorso, abbiamo reiteratamente chiesto – tramite i mezzi d’informazione – che si dessero risposte a numerosi interrogativi, senza ricevere risposta.

Ribadiamo che a nostro avviso, in accordo con le più autorevoli opinioni del mondo scientifico (che identificano nel proseguimento del ricorso al fossile la principale causa della catastrofe climatico-ambientale), bisognerebbe avere il coraggio di rimettere in discussione l’intero progetto.

Sono in atto contenziosi civili e legali da parte della popolazione e anche di alcune istituzioni, sia nella zona di Sulmona, ove viene messa in dubbio la stessa legittimità del cantiere di costruzione della Centrale di Compressione (che insiste in un territorio di notevolissimo pregio naturalistico ed archeologico, nonché ad alto rischio sismico), sia in altri tratti, dove sono in preparazione ricorsi al TAR. Potrebbe pertanto ancora accadere che i lavori vengano bloccati. A quel punto non si capisce che senso abbia iniziare le opere di costruzione in un territorio (il nostro) centinaia di chilometri più a nord.

Come già sostenuto nelle nostre prese di posizione, i decreti autorizzativi sono vecchi di molti anni, mentre la più recente giurisprudenza afferma che i procedimenti di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) debbano avere durata quinquennale, anche se emanati prima della riforma del Codice dell’ambiente del 2008, come nei casi in argomento. Le autorizzazioni a suo tempo emesse andrebbero considerate scadute.

Vale la pena ricordare che stiamo parlando del ben noto “gasdotto dei terremoti”, visto che il tracciato prescelto oltre che provocare un immane scempio ambientale sull’Appennino, interessa buona parte delle zone a maggiore rischio sismico a livello europeo.

Ugualmente, va sottolineato che si tratta di un’opera con caratteristiche pesantemente impattanti: una lunghezza complessiva di km. 687 (con tubazione di diametro di un metro e venti, a cinque metri di profondità, che decorre in uno spazio di rispetto di 40 metri in larghezza), attraversa dieci Regioni, interessa aree di rilevante importanza naturalistica, fra cui tre parchi nazionali, un parco naturale regionale, ventuno siti di importanza comunitaria e anche aree ad alto rischio sismico e idrogeologico, come quelle del territorio romagnolo dove all’epoca dell’alluvione sono state censite innumerevoli frane (80.000 nell’insieme della regione); l’opera, inoltre, comporterà sia l’abbattimento di svariati milioni di alberi che emissioni climalteranti elevatissime. Insomma, un’opera gigantesca, che nel suo insieme ha un “peso” ambientale e sociale assimilabile a quello del ponte sullo stretto di Messina. E per una cosa del genere non è stato effettuato un unico procedimento di valutazione di impatto ambientale come richiesto da normativa e giurisprudenza comunitaria, né una procedura di valutazione ambientale strategica”.

Per il Clima – Fuori dal Fossile ribadisce che “Nel 2030 si avrà un consumo di circa 60 miliardi di metri cubi di gas, e forse anche meno, visto che nell’anno passato il consumo ha di poco superato i sessanta miliardi ed è da alcuni anni in costante calo, a fronte di una capacità complessiva da parte delle infrastrutture, già oggi esistenti, di oltre 100 miliardi di metri cubi all’anno. Il che significa che saranno opere fortemente sottoutilizzate, la cui costruzione grava in ogni caso sulle nostre tasche.

Andrebbe anche fatto un ragionamento approfondito sui rischi dal punto di vista della sicurezza complessiva, come dimostrano per esempio il ben noto disastro occorso in un importante gasdotto iraniano e altri episodi anche nel nostro Paese.

Tutte le Istituzioni interessate dovrebbero fare propria la richiesta di rivedere l’iter autorizzativo e, invece, sembra che lo strapotere Eni-Snam non sia minimamente scalfibile.

Proprio recentemente abbiamo visto un documento di una parte della Cgil, che ci racconta dell’apertura di una vera discussione all’interno del mondo sindacale. Siamo rallegrati che nell’ambito delle rappresentanze dei lavoratori e dei pensionati ci si ponga il problema del modello da adottare per il futuro delle nuove generazioni e dei prezzi da pagare agli investimenti. Confidiamo che tale discussione si estenda e si approfondisca, perché sottolineiamo che l’abbandono del modello fossile e dell’asservimento al profitto dei colossi estrattivi potrebbe comportare una ricaduta occupazionale addirittura più favorevole e con minori costi per la collettività, rispetto al mantenimento del sistema attuale. Auspichiamo che anche i massimi organi dirigenti del Sindacato trovino la determinazione a rompere con la subordinazione ai voleri dell’industria estrattiva.

Siamo invece veramente amareggiati dell’atteggiamento delle Istituzioni locali, che continuano a opporre un “muro di gomma” a qualsiasi istanza.

Non ci dicono se le pratiche amministrative-autorizzative siano state espletate correttamente in ogni loro parte, se SNAM abbia comunicato ai Comuni con almeno trenta giorni di anticipo, come previsto per legge, l’avvio dei  cantieri, se si sia presa in considerazione l’ipotesi di adire ad una nuova Valutazione di Impatto Ambientale unica per l’intera opera, se siano state già espletate le pratiche di indennizzo/esproprio ai titolari delle proprietà interessate, o se siano state concordate servitù. E in tali casi, visto che l’opera impatta gravemente e in vari modi  l’ambiente per una superficie ben più vasta di quella di pertinenza di alcuni proprietari, per quale motivo non si sia avviata una capillare e dettagliata opera d’informazione delle popolazioni, con particolare riferimento alle abitazioni prossime al tracciato, anche per i rischi che l’opera comporta (sono noti episodi di esplosione e di incendio di gasdotti ed altre opere metanifere) e quali piani di evacuazione siano stati predisposti e comunicati.

Ravenna e i Comuni limitrofi sono un territorio già fortemente provato dalla presenza soffocante delle strutture metanifere. Ed era stato ampiamente sbandierato che l’arrivo del rigassificatore avrebbe comportato l’indipendenza dai gasdotti provenienti dall’estero, e quindi – implicitamente – si era sostenuta l’inutilità di costruirne di nuovi.

Ma a Ravenna e nella Regione c’è carta bianca per i colossi del gas, che costituiscono il vero governo del Paese”.