“Numerose volte il Maestro Muti ha fatto sentire la propria voce sui temi culturali di rilievo per il nostro Paese, ricevendo plauso e riconoscenza. L’ultima, contro la “cancel culture” in occasione di una frase non proprio “politically corret” de “Un ballo in maschera”. “Sono favorevole al dialogo su un passato che non va cancellato, ma discusso”, dichiarava il Maestro.
Ebbene, quando ad essere censurate non sono le parole, ma straordinari manufatti del patrimonio industriale novecentesco che di Ravenna erano uno dei simboli identitari della modernità; quando, con un blitz di Pasqua, senza che sia stata mostrata una sola perizia, usando come carta da gabinetto il Piano Urbanistico PUG lungamente partecipato dai cittadini, votato dalla Giunta Comunale e sottoscritto dal Sindaco, anche il Maestro si adegua al silenzio. Non una sola parola nemmeno da Cristina Mazzavillani Muti, che pure, in passato, si era espressa nettamente a favore della tutela. Per questo, nelle scorse settimane è stata loro rivolta un’accorata richiesta d’aiuto a mezzo stampa. Le torri Hamon ex SAROM erano chiamate “camini sonori”, proprio per la singolarissima e magnifica acustica determinata dalla loro forma, e per il maestoso impatto scenografico. Una sede ideale ed avveniristica per la musica e la cultura: quanti meravigliosi concerti, quanti spettacoli, quanti messaggi di amicizia, di speranza e di riscatto – anche dal passato di inquinamento e di morte – si sarebbero potuti lanciare dall’interno delle torri, dalla terra al cielo, se solo qualche voce coraggiosa di quelle che “contano” si fosse levata per domandare la grazia! Non è bastata nemmeno la presa di posizione, loro sì coraggiosi come molti altri, dell’Ordine degli Architetti di Ravenna: Sindaco, Autorità Portuale, Soprintendenza, tutti d’accordo nel consentire o persino applaudire irriverenti alla loro distruzione. Le torri Hamon sono state annientate senza alcun motivo plausibile, con uno sfregio gratuito e incancellabile a Ravenna e a tanti cittadini: la vergogna di una città che fu culla di culture, sede della prima Soprintendenza d’Italia e fonte della prima legge italiana per la tutela del paesaggio, prende la forma di questa arrogante disfatta. Su tutti, il main sponsor del Ravenna Festival, l’ENI, ha sovrastato ogni strumento di governo democratico del territorio – il PUG – e di dibattito, ogni richiesta di ripensamento e di salvezza almeno per una delle due. Altrove recuperate, qui distrutte. ENI, che tanto ha preso in oltre settant’anni dalle nostre terre, partecipata statale dai profitti multimiliardari, non ha voluto ascoltare, e nessuno di chi poteva, ha parlato.
La tutela delle torri Hamon avrebbe rappresentato un gesto concreto con cui assicurare alla città e al suo porto una risorsa da mettere a frutto, un patrimonio testimoniale, culturale, architettonico e tecnico unico e straordinario, e di conseguenza avrebbe garantito anche la bonifica dei suoli contaminati dell’ex raffineria SAROM ad oggi incompleta; suoli che a breve diventeranno patrimonio pubblico, acquisiti con pubblici denari dall’Autorità Portuale. Ricordiamo che invece le torri erano manufatti per il raffreddamento e recupero dell’acqua e non contenevano tracce di amianto né di altri inquinanti.
Stanchi di effimere messe in scena, invitiamo tutti i cittadini che abbiano a cuore il patrimonio culturale materiale a dare un segnale forte e a disdegnare la partecipazione alla nuova edizione del Ravenna Festival, sorretto come sempre dai fondi ENI.”