Le differenze salariali tra uomini e donne nel settore delle libere professioni crescono soprattutto con l’età, arrivando fino al 60%, e si sono acuite con la pandemia. Lo stereotipo della donna come referente unico della gestione familiare – dalla cura dei figli a quella degli anziani- non è quindi estraneo ad architette, commercialiste, avvocate, etc, che esercitano una libera professione in Emilia-Romagna. È ciò che emerge dalla ricerca “L’impatto della pandemia sulle libere professioni. Una lettura di genere sulle specificità dell’Emilia-Romagna” curata da Anna Rota, dottoressa di ricerca in Diritto del Lavoro dell’Università di Bologna, e presentata in Assemblea legislativa nel corso di un seminario organizzato dalla Consigliera di Parità regionale dell’Assemblea legislativa, Sonia Alvisi, e dal Difensore Civico regionale, Carlotta Marù.
La ricerca, svolta con il supporto del Comitato Unitario degli Ordini Professionali dell’Emilia-Romagna e delle Casse di previdenza, si concentra su sette categorie di professioniste/i iscritte/i a Ordini e Collegi provinciali dell’Emilia-Romagna nei settori di area giuridico-economica legale, in ambito tecnico o sanitario: più precisamente: architetti/e, avvocati/e, commercialisti/e, consulenti del lavoro, geometri/e, ingegneri/e e psicologi/he.
“Si tratta di un’analisi quantitativa-qualitativa cha ha lo scopo di valutare nell’ottica gender and age oriented l’impatto della pandemia sul mondo delle professioni” spiega la curatrice Anna Rota. La ricerca mette in luce il divario retributivo per genere ed età tra uomo e donna. Un divario che esisteva già prima della pandemia, visto che gli uomini liberi professionisti dopo i 40 anni raggiungono i massimi livelli di carriera, mentre le donne, alla stessa età, devono sopportare il ‘peso’ delle interruzioni per la maternità e, più in generale, per l’impegno di cura. Anche in Emilia-Romagna la donna professionista ha sempre guadagnato meno di un collega uomo. Ad eccezione delle fasce più giovani, il gender gap nei compensi appare una caratteristica comune fra le professioniste over 50, qualunque sia la Cassa di previdenza di appartenenza e indipendentemente dal territorio in cui la professione viene esercitata. Nella classe d’età compresa tra 50 e 60 anni, i professionisti guadagnano in media 23mila euro annui in più rispetto alle colleghe.
Il Covid ha poi peggiorato ulteriormente il divario. Vi sono situazioni, specie nella classe d’età over 40-50 anni, in cui il valore medio reddituale calcolato sulle dichiarazioni delle professioniste è pari alla metà, talvolta a 1/3 del corrispondente valore dichiarato dai colleghi uomini. I rapporti di ADEPP sulla previdenza privata dei professionisti italiani per il periodo 2020 e il V rapporto sulle libere professioni elaborato da Confprofessioni indicano che può attestarsi anche attorno al 60%. “Altrettanto preoccupante rimane lo scenario descritto dalla Cassa Forense: non è infrequente confrontarsi con casi in cui la distanza tra il reddito medio di una professionista e quello dichiarato da un collega di sesso maschile appartenente alla stessa classe d’età sia tale per cui occorre sommare il reddito di due donne per sfiorare (e non raggiungere) il livello medio percepito da un uomo” scrive Rota nella ricerca.
“Su tutti, un dato della ricerca vorrei sottolineare -chiarisce la Consigliera di Parità regionale Sonia Alvisi, organo di garanzia, vigilanza e controllo sul rispetto della legislazione in materia di parità-: appena il 30% circa delle professioniste ha un’età superiore a 50 anni contro all’oltre 50% di professionisti over 50; non meno rilevante risulta il dato riguardante la fascia d’età over 60, all’interno della quale, tanto nel 2020 quanto nell’anno successivo, convoglia meno del 10% della platea delle professioniste considerate dalla ricerca. Fino ai 30 anni le donne professioniste percepiscono parcelle del 10% inferiori, dopo lievita al 40%. Il motivo? Per una libera professionista staccarsi dall’ufficio, per una malattia o una maternità o per l’assistenza dei propri genitori, significa perdere clienti e questo può avere effetti dirompenti sul suo futuro lavorativo”.
“Un altro dato importante -aggiunge Alvisi- riguarda la crescita di cancellazioni deliberate delle professioniste iscritte negli Ordini, che riflette il maggior peso gravato sulle spalle delle lavoratrici, sottoposte nel periodo del Covid, a un continuo multitasking tra vita professionale ed extra-lavorativa”.
Se da un lato, i dati esposti nella ricerca evidenziano come il mondo del lavoro professionale sia in continua espansione tanto in Italia, quanto in Emilia-Romagna, anche grazie alle giovani donne che “trainano” questa crescita, dall’altro è necessario tutelare una parte del lavoro professionale – che per genere e giovane età – incontra maggiori difficoltà nel collocarsi dapprima e ad affermarsi poi, nel panorama della libera professione. Lo sottolinea anche il Difensore Civico regionale, Carlotta Marù che specifica: “Considerando l’importanza del ruolo femminile all’interno della famiglia e della società, sono proprio le donne ad aver pagato il prezzo più caro per conciliare la vita famigliare e lavorativa, trovandosi a limitare fortemente la seconda a vantaggio della prima. Pensiamo a servizi come scuole e asili che si sono fermati durante la pandemia: sono soprattutto le donne che se ne sono fatte carico. Abbiamo commissionato questo lavoro di ricerca non solo per avere una visione globale della situazione di lavoratori e lavoratrici professioniste ma anche per promuovere la parità di genere e promuovere azioni che possano colmare quel gap ancora esistente per tipologia di attività e in termini economici”.
La presidente dell’Assemblea, Emma Petitti, commenta: “La ricerca presentata oggi, che offre un’attenta lettura sulle disuguaglianze tra professioniste e professionisti, avrà come fine quello di continuare a promuovere la parità di genere e incentivare tutte quelle iniziative politiche e legislative che possano colmare i dislivelli esistenti. Questo, intercettando i nuovi spazi di mercato, che sempre di più si collocano nella gestione dell’innovazione tecnologica, rilanciando il valore professionale delle donne e sollecitando azioni concrete che possano colmare la diseguale distribuzione del reddito nel settore delle libere professioni”.
Durante la giornata sono intervenuti, fra gli altri, anche Federico Amico, presidente Commissione parità Assemblea legislativa, Antonella Ricci, del Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali, e Alberto Talamo, Presidente CUP Emilia-Romagna.