Dopo quasi sessant’anni, è caduto il muro che nel 1966 era stato eretto ai danni di Edmondo Fabbri, lasciandolo fuori dall’album dei ricordi e da ogni riconoscimento ufficiale del calcio italiano. Ad abbatterlo è stato Matteo Marani, presidente del Museo del Calcio, l’esposizione permanente di Coverciano che da martedì scorso ospita una foto ed alcuni oggetti appartenuti all’allenatore di Castel Bolognese, commissario tecnico della nazionale italiana dal 1962 al 1966. A donarli, con gioia, sono stati i tre figli di “Mondino”: Roberto, Romano e Riccardo.
I fatti sono noti, appartengono alla storia del calcio italiano, ma vale la pena ricordarli per le nuove generazioni che non li conoscono. Nel 1962 il giovane tecnico Edmondo Fabbri, dopo una splendida cavalcata con il Mantova, portato dalla Serie D al nono posto in Serie A in soli cinque anni, viene chiamato alla guida della nazionale italiana. La squadra azzurra se la passa male: dal dopoguerra ha raccolto solo delusioni. Fabbri in poco tempo la trasforma, le ridà un’anima, un gioco, un’identità. E arrivano i risultati. Uno su tutti: il 3-0 inflitto al Brasile campione del mondo nel 1963, che lancia Fabbri al top della popolarità nazionale. La squadra azzurra arriva ai mondiali del 1966 sulla cresta dell’onda, spinta da un giustificato entusiasmo. Ma in pochi giorni, in Inghilterra, si consuma il dramma sportivo che segnerà nel profondo Fabbri per il resto della sua vita e anche oltre. Gli azzurri vengono sconfitti ed eliminati dalla Corea del Nord, in una partita rimasta indelebile nell’immaginario collettivo come sinonimo di “disfatta”. Fabbri, da allenatore amato ed apprezzato, si ritrova nell’occhio del ciclone, solo contro tutti, osteggiato, processato, umiliato, deriso, minacciato. Mondino prova a difendersi come può. Perde lucidità. Scrive un dossier basato su un presunto complotto costruito contro di lui all’interno della Federcalcio e lo consegna alla stampa. La Federcalcio lo squalifica per sei mesi, lo ripudia, ne cancella ogni traccia dalle proprie memorie. Fino all’altro giorno.
«Siamo molto contenti, e grati a Matteo Marani, di aver potuto donare alcuni oggetti appartenuti a nostro padre al Museo del Calcio di Coverciano, dove non c’era nulla che ricordasse i suoi quattro anni trascorsi alla guida della nazionale – commenta Roberto, il maggiore dei tre figli – Purtroppo, quel periodo finì con una sconfitta, ma furono quattro anni di proficuo lavoro e di ricostruzione. Mio padre diede un disegno preciso alla nazionale e riportò l’attaccamento dei giocatori alla maglia azzurra».
La famiglia Fabbri ha donato al Museo del Calcio la tuta con la scritta “Italia” indossata dal padre in nazionale («dal punto di vista affettivo è il ricordo più prezioso»), un vecchio pallone dei mondiali del 1966 ed una maglia azzurra indossata da Sormani al Mondiale di Cile nel 1962, che il campione brasiliano aveva regalato a Mondino, infine una bella foto di Fabbri scattata a San Siro in occasione di Italia-Brasile 3-0 (Il Museo possedeva già la maglia indossata da Giacomo Bulgarelli in quella partita). «A cent’anni dalla sua nascita, avvenuta nel 1921, dapprima la pubblicazione del libro “Oltre la Corea. Vita e calcio di Edmondo Fabbri” l’anno scorso, ed ora questa apertura del Museo del Calcio, hanno ridato dignità alla memoria di mio padre», conclude felice Roberto Fabbri.
«Ritenevo giusto che la famiglia Fabbri venisse accolta al Museo del Calcio e della Nazionale – dichiara Matteo Marani, presidente della Fondazione che gestisce l’esposizione permanente di Coverciano – Per quattro anni loro padre è stato il tecnico della Nazionale con molti meriti, non ultimo quello di averla riportata per i raduni e gli stage a Coverciano. Alla fine, Mondino pagò la sconfitta contro la Corea, ma il ciclo iniziato nel 1962 con il suo arrivo diede il via ad una serie di cambiamenti positivi, che portarono poi agli ottimi risultati raccolti all’Europeo del 1968 ed al Mondiale messicano del 1970».
«La famiglia Fabbri ha legato la loro donazione alla mia presidenza: è un atto di grande cortesia nei miei confronti e la ringrazio – conclude Marani – Del resto, non potevamo continuare con questa “damnatio memoriae” su Mondino. Era giunto il momento di dire basta. Fabbri ha avuto la sfortuna della partita con la Corea, ma non è stato l’unico commissario tecnico che ha avuto partite sfortunate. Anzi, lui ai Mondiali c’era andato. Era giusto dargli la storicità che merita. Adesso a Coverciano c’è la sua tuta. C’è la sua presenza».