Martedì 14 maggio si è svolta la conferenza NUOVE PROSPETTIVE: lo sguardo dei giovani sulla scuola, la città, il mondo, organizzata dall’ufficio Educazione alla Mondialità della Caritas Diocesana di Faenza-Modigliana per restituire alla cittadinanza, e in particolare alle scuole e alle agenzie educative del territorio, i numerosi e interessanti stimoli raccolti a contatto con i giovani studenti.
Nell’introduzione gli Assessori Agresti e Laghi hanno sottolineato come questi mesi particolarmente complessi, che hanno creato uno spartiacque sul tema del benessere adolescenziale, hanno portato ulteriormente a riflettere sul tema dello sguardo dei giovani da più punti di vista. I giovani non vanno spinti ma vanno attratti. “Oggi siamo qui anche a parlare di futuro e questo significa impegnarsi per formare operatori più attrattivi.” Il “teorema dell’acqua calda” ci dice che l’acqua calda ammorbidisce il tubero e indurisce l’uomo. Questo ci dice che non sono tanto le condizioni che “fanno il ragazzo” ma è quello che hanno dentro che conta, ed è quello su cui dobbiamo porre anche la nostra attenzione. Chiaramente il contesto è un fattore importante: se vogliamo parlare di meritocrazia dobbiamo parlare di pari opportunità. Grazie all’osservatorio privilegiato dei servizi sociali abbiamo visto tanti tipi diversi di disuguaglianze aumentare, soprattutto quella che abbiamo chiamato la disuguaglianza di destino. Una disuguaglianza ereditaria: generazioni di famiglie che si tramandano la povertà. Allora dobbiamo lavorare sull’essere, su quello che i ragazzi hanno dentro appunto e dobbiamo farlo provando ad attrarre e non spingere. Partendo dal protagonismo dei ragazzi. Martina Laghi aggiunge che visitando la mostra “2032: la scuola è cambiata” alcuni aspetti sono stati rassicuranti: ha percepito quanto i ragazzi ci tengono al mondo della scuola, al loro percorso di vita e al loro futuro. “Non a caso il titolo dell’appuntamento di oggi è “Nuove prospettive”. Ci è richiesto di avere un pensiero critico sull’oggi per costruire un buon futuro domani e i nostri ragazzi hanno bisogno di speranza e fiducia.”
Barbara Lanzoni, referente per l’Area Educazione alla Mondialità ha riportato quanto emerso dall’ascolto dei giovani attraverso i laboratori svolti nelle scuola, dopo aver spiegato prima di tutto la metodologia d’intervento a contatto con gli studenti: “Educare alla mondialità” significa far recuperare la speranza nel cambiamento, non solo di sé stessi, ma anche della società e del mondo; far recuperare la fiducia nelle potenzialità di ciascuno e di tutti nel trasformare la realtà che ci circonda. Lo si riesce a fare, a prescindere dalla tematica affrontata, attraverso due tecniche: quella dell’”imparare vivendo” che permette ai ragazzi di vivere qualche aspetto della vita e del mondo in modo simulato e quella del CIRCLE- TIME, una tecnica di comunicazione che consente ai ragazzi di esprimere liberamente la propria opinione sotto la supervisione di un moderatore che aiuta a sviluppare sempre nuovi ragionamenti nel rispetto di tutti e di ciascuno.
Sono stati oltre 150 i laboratori svolti dall’ufficio Educazione alla Mondialità negli ultimi due anni scolastici (2022-23 e 2023-24) nei diversi istituti di scuole secondarie di secondo grado del territorio faentino, dal Liceo “Torricelli-Ballardini” al I.T. P. “L. Bucci” fino all’I.T. “A. Oriani” e all’I.P. “Persolino-Strocchi”, oltre ad altri interventi di diverso tipo nelle altre scuole di ordine e grado.
Ecco di seguito quanto emerso dagli studenti nelle diverse tipologie di laboratori messi in campo dall’Ufficio Educazione alla Mondialità:
La Campagna “Antisocial, social club” ha la finalità di stimolare una discussione sull’uso dei social, aumentare la consapevolezza delle potenzialità e dei rischi degli stessi, oltre che dell’influenza che i trend sui social hanno sulla vita quotidiana di ciascuno. I ragazzi dimostrano di avere un’ottima consapevolezza ad utilizzo delle potenzialità dei social (con l’aspettativa, in diversi casi, di farne un lavoro); usano i social principalmente per intrattenersi, stare in relazione e informarsi su sport, influencer e ricevere consigli sulla cura di sé. Hanno discrete capacità di regolarsi nel tempo di utilizzo consapevoli dei rischi di dipendenza, estraniazione dalla realtà e dalle relazioni sociali che può comportare l’eccessivo tempo passato sul web; allo stesso tempo ammettono che, nei momenti di noia, sono propensi a passare anche più di 5 o 6 ore al giorno sul cellulare.
Buona è anche la consapevolezza sui rischi (con un cambiamento in positivo dal 2019) e sulle regole che governano i social ma, allo stesso tempo, la maggior parte di loro sostiene che le regole su Internet vengano molto facilmente infrante e non rispettate, senza imbattersi effettivamente in conseguenze. Solo alcuni conoscono che la violazione della privacy e la diffamazione sono regole che prevedono conseguenze anche dal punto legislativo. Più bassa, invece, è la consapevolezza del fatto che, una volta pubblicato un contenuto sui social, questo non è più sotto il proprio controllo perché diventa visibile potenzialmente a tutti e rimane per sempre.
Ciò che emerge maggiormente è una forte influenza dei social sulla formazione dell’identità: i meccanismi di pubblicità che stanno dietro i social spingono verso canoni di bellezza o stili di vita idealizzati e nella maggior parte dei casi non raggiungibili. Questo meccanismo porta ad un aumento del bisogno di riconoscimento e approvazione già molto forte nell’adolescenza e, di conseguenza, crea frustrazione, invidia e insicurezza. Sia i ragazzi che le ragazze dicono di essere influenzati nei loro stereotipi e pregiudizi da quanto vedono sui social: in particolare, le ragazze ammettono che non è assolutamente facile rispecchiarsi quotidianamente in corpi perfetti e sempre curati, mentre i ragazzi sono più influenzati dal dover raggiungere un tenore di vita economicamente alto; quasi mai sono loro noti i meccanismi di pubblicità che stanno dietro questi effetti. I trend che sono maggiormente in voga tra gli adolescenti sui social riguardano: meme, stickers o video che fanno ridere e intrattengono, belle ragazze su Tik Tok che danno consigli di skincare, nutrizionismo e moda; influncer fisicamente perfetti, pieni di soldi, che fanno “la bella vita”, sportivi/calciatori e “maranza”.
Un altro laboratorio, svolto nelle scuole, si intitola “Liberi di …, liberi da … ” e ha come obiettivo quello di riflettere con i ragazzi su cosa significa essere liberi di esprimersi, sui limiti della libertà in relazione alla responsabilità nei confronti del contesto sociale e relazionale e sulle modalità con cui stare nel conflitto di valori quindi nel rispetto della libertà altrui.
Nel laboratorio le operatrici dell’area educazione alla mondialità accompagnano i ragazzi in un processo che dalla libertà intesa come “faccio quello che voglio” porta a concepire la libertà come un delicato equilibrio nella relazione con l’altro e nel rispetto dell’altro. Attraverso dibattiti simulati, si arriva a estrapolare gli strumenti che facilitano la discussione e lo stare in un conflitto di valori e alle modalità che invece non sono da adottare in quanto giudicanti, offensive, non rispettose o addirittura lesive della libertà e della dignità dell’altro. In questo laboratorio colpisce il bisogno degli studenti di discutere tra loro anche in maniera accesa e allo stesso tempo la richiesta di mediatori che li aiutino nella gestione del confronto e del dibattito, anche per trasmettergli questa capacità fondamentale del vivere in società; hanno bisogno di capire che si può stare nel conflitto senza necessariamente convincere l’altro della propria idea, continuando a rispettarsi a vicenda. Vorrebbero che la modalità della discussione e del dibattito fosse più presente anche nelle lezioni scolastiche come strumento per affrontare tematiche di attualità o tematiche di loro interesse.
Nel laboratorio “La scuola che vorrei …” si riflettere sulla propria partecipazione alla vita della comunità a partire dal contesto di appartenenza che coinvolge maggiormente gli studenti, ovvero la scuola; si arriva a ragionare sull’apporto che loro possono dare fin da subito alla loro scuola in un’ottica costruttiva e di miglioramento. E’ stato uno dei laboratori più richiesti, segno che, sia l’istituzione, che gli insegnanti e ancora di più gli studenti che hanno partecipato attivamente, desiderano un cambiamento che non può attendere! Da questi laboratori è emersa la fatica con cui gli studenti stanno affrontando la scuola, soprattutto dalla pandemia in poi, indipendentemente dall’indirizzo e dall’istituto: c’è una pesantezza e una fragilità nell’accettare di essere valutati con un voto, un appesantimento nell’affrontare 5 o 6 ore seduti al banco, la voglia di utilizzare modalità diverse dalla lezione frontale come laboratori, uscite didattiche, lavori di gruppo, ricerche, ecc. Desiderano una scuola più tecnologica dove al posto dei libri si usano visori, pc e tablet che al loro interno siano già aggiornati sui libri di testo da utilizzare, così da non doversi portare “peso sulle spalle” evitando anche uno spreco di carta stampata che a volte rimane inutilizzata. I ragazzi non vogliono essere considerati solo “vasi da riempire”, sentono il bisogno del confronto, del dibattito per affrontare anche temi di attualità, che riguardano quanto accade nel mondo o che riguarderanno la loro vita futura fuori dalla scuola (ad esempio come aprire partita IVA, il funzionamento delle tasse, ecc.). In molti sarebbero disposti a vivere le giornate intere a scuola, se la scuola fosse un “luogo di vita”: moltissimi hanno proposto di iniziare un po’ più tardi la mattina oppure abolire il sabato, ma fare scuola sia la mattina che il pomeriggio con una mensa a disposizione dove mangiare e luoghi di incontro per creare relazioni (anche con i professori); la mattina si farebbero quattro ore di lezione, per poi riprendere nel pomeriggio con attività laboratoriali, sportive, artistiche, di esperienza concreta e vissuta. Anche le proposte che sono già in campo nella scuola come l’educazione civica obbligatoria o l’alternanza scuola-lavoro, dal punto di vista degli studenti, spesso, non sono ore sfruttate o utilizzate al meglio: vorrebbero esperienze di senso che raggiungano l’obiettivo di farli crescere come cittadini consapevoli e come studenti pronti ad affrontare il mondo del lavoro. Altre volte invece, trovano che le esperienze fatte in azienda richiedano loro conoscenze e competenze che non sempre la scuola è in grado di fornire.
Tanto si è discusso e progettato anche sul sistema di valutazione che la stragrande maggioranza degli studenti cambierebbe sostituendo i voti numerici a spiegazioni di cosa si è compreso e cosa no; altri passerebbero a un sistema di valutazioni che tiene conto dell’impegno quotidiano e della partecipazione in classe, piuttosto che focalizzarsi solo su verifiche e interrogazioni. Anche la relazione con i professori ricerca un approccio più comprensivo ed empatico, meno autoritario e più autorevole, con la proposta – da parte di diversi studenti – di un sistema di preparazione alla professione-insegnante che comprenda una buna formazione a livello psico-pedagogico. È evidente che gli studenti cerchino sempre più nei professori figure educative di riferimento.
Sul tema del cambiamento nella scuola ha lavorato anche il M.S.A.C., il Movimento Studenti dell’Azione Cattolica, attraverso una ricerca intitolata “2032: la scuola è cambiata” che ha dato vita alla mostra Fuori Posto, realizzata in collaborazione con il Museo Diocesano di Faenza e con l’artista Fabrizio Dusi, allestita fino al 25 maggio nella Chiesa di Santa Maria dell’Angelo. Da un’opera di ascolto degli studenti delle scuole superiori faentine su come immaginano la scuola del futuro, attraverso la raccolta di tracce diffuse nelle classi dai membri MSAC, è nata un’esposizione interattiva che sta avendo tanti visitatori: docenti, classi, ma anche persone che non fanno parte del mondo della scuola.
Un altro laboratorio svolto dall’Educazione alla Mondialità si intitola “Giovani, Cittadinanza Attiva e Volontariato” epermette agli studenti di approfondire cosa significa essere cittadini attivi sognando progetti da rendere il più possibile concretizzabili nella città e nella comunità che essi abitano. Molte classi hanno lavorato proprio sul cambiamento della scuola anche in termini strutturali e di riorganizzazione e manutenzione degli spazi; moltissimi altri hanno deciso di progettare luoghi di incontro, conoscenza reciproca e socializzazione nella città, per i giovani, ma non solo. Sentono comunque necessaria la presenza di luoghi chiusi in cui poter passare del tempo insieme: tempo per studiare insieme, luoghi per pranzare insieme una volta usciti da scuola, luoghi in cui poter sostare senza l’obbligo di dover consumare, soprattutto per gli studenti che vengono da fuori Faenza e che nel periodo invernale devono attendere l’ingresso a scuola fuori al freddo.
Altri interessanti progetti ideati sono stati: un luogo multi-sport che consenta l’accesso a tutti alle attività sportive senza discriminazioni di nessun tipo (nessuna barriera fisica, ma nemmeno culturale o di genere); l’implementazione di mezzi pubblici green e gratuiti; un luogo di culto nel rispetto di ogni religione: il gruppo che lo ha proposto lo ha immaginato e progettato come una margherita in cui ogni petalo è dedicato a una religione/confessione diversa, mentre il punto centrale è uno spazio condiviso per lo scambio, la conoscenza e il confronto in cui si può anche mangiare insieme. Un’altra classe ancora, ha trovato un metodo per diminuire l’astensione al voto proponendo un buffet organizzato nei luoghi adibiti al voto, allungando i tempi per poter votare e incentivando con bonus e riconoscimenti chi va a votare; in linea con questo progetto anche le idee di un festival che miri a far conoscere ai giovani le associazioni di volontariato in cui poter fare servizio e vivere esperienze significative; e anche un centro di condivisione e informazione rivolto ai giovani dove poter discutere di tematiche riguardanti l’attualità. Infine, un corso obbligatorio per tutte le persone che hanno diritto di voto per promuovere una maggiore consapevolezza politica e dei processi che animano la politica. Molti gruppi di studenti hanno lavorato sui luoghi di ritrovo per i giovani: un parco multi-tasking e un’attenzione per la cura delle aree verdi già presenti in città, così da trasformarle in luoghi di incontro e socializzazione all’aria aperta; ma anche luoghi per potersi esprimere liberamente e senza giudizio (questo ci porta a riflettere su quanto siano liberi o meno gli spazi di incontro che già popolano la nostra città). Infine, diversi progetti per ridurre l’inquinamento, progetti per una maggior sensibilizzazione alla non-violenza e alla non discriminazione in ogni luogo o la creazione di corsi di primo soccorso obbligatorio per gli studenti, in tutte le scuole, tenuto da un medico. In questo modo ogni studente formato diventerebbe una risorsa importante per la comunità.
Infine, un ultimo laboratorio affrontato, s’intitola “Pronti alla partenza” per accompagnare i giovani e gli studenti a una più profonda conoscenza di sé e delle proprie capacità in vista delle scelte future, portando anche una maggior consapevolezza degli enti e delle opportunità formative e lavorative del territorio. Notiamo che gli studenti hanno bisogno di questo tipo di lavoro perché ricevono un orientamento a livello informativo (sull’università e le sue diverse facoltà o sul lavoro), ma difficilmente si trova il tempo per lavorare sulle loro capacità, aspirazioni, desideri profondi e spesso si ritrovano con l’urgenza di fare una scelta che assomiglia più a un’out-out tra università e lavoro o università e “non so proprio cosa fare”, mentre il territorio offre molte esperienze (ad esempio il Servizio Civile Universale o Regionale) che sono occasione di crescita importanti, molto utili anche per chiarirsi le idee e iniziare a mettersi in gioco.
Anche la Pastorale Vocazionale della Diocesi di Faenza-Modigliana ha ideato e messo in campo un progetto dal titolo “Bussolà” che è stato presentato alla conferenza del 14 maggio: ovvero un percorso di orientamento che sollecita gli studenti a interrogarsi sul proprio desiderio più autentico e ad aumentare la consapevolezza dei fattori in gioco quando si compie una scelta.
Infine, sono intervenute anche Cristiana Bacchilega, coordinatrice del Centro per le Famiglie e Claudia Melandri, psicologa AUSL del consultorio familiare per una lettura delle risorse e delle fatiche degli adolescenti del nostro territorio riscontrate dall’apertura dello Spazio Adolescenza “UFO: Universo Fuori Onda”: quello che, come Centro per le Famiglie, aggiungiamo alla riflessione è un approfondimento sui ragazzini che sentiamo più in difficoltà, fermandoci e cambiando le lenti con cui noi adulti ci poniamo in relazione con loro, per riuscire a vedere al di là delle fatiche le risorse. Negli ultimi anni abbiamo collaborato molto con la regione per capire come promuovere il benessere dei nostri ragazzi e da questo lavoro sono nate le linee di indirizzo sul ritiro sociale e sulla dispersione scolastica: un fenomeno che sta diventando una vera e propria emergenza educativa, da guardare non in ottica psicodiagnostica, etichettando i ragazzi come malati, ma in ottica socio-educativa: l’obiettivo non deve essere combattere il sintomo ma allearsi con il sintomo, capire cosa il ragazzo ci sta dicendo con quel suo comportamento. Un altro punto fondamentale è non paragonarli alla nostra adolescenza, la società è cambiata, è iper-ansiogena, richiestiva e iper-performativa e pur di evitare il rischio di sperimentare il fallimento molti ragazzi decidono di ritirarsi prima. In questo disagio quello che cercano è la relazione con l’adulto, adulti che li sappiano ascoltare e che non siano spaventati da quello che i ragazzi mettono sul tavolo. In questo è fondamentale essere empatici per praticare un ascolto attivo, che è quello che loro chiedono: non chiedono soluzioni. Da più di un anno, sull’onda di queste riflessioni, è nato U.F.O., Universo Fuori Onda, uno spazio rivolto a ragazzi e ragazze dai 14 ai 25 anni e alle loro famiglie in cui poter portare paure, dubbi e difficoltà personali all’ascolto di un’equipe multiprofessionale.