Il Gruppo Sapir, facendo seguito a quanto pubblicato su alcuni organi di informazione e alle conseguenti richieste pervenute a società del Gruppo, precisa quanto segue.
La notizia del possibile imbarco, avvalendosi delle strutture di una società del Gruppo, di un container che contenga parti riconducibili alla categoria di pericolosità 1, risponde al vero.
Ogni altra notizia o circostanza non è nota né può esserlo a chi effettui il caricamento del container.
Le società del Gruppo Sapir e cioè Sapir, Terminal Container Ravenna e Terminal Nord, nel momento in cui hanno deciso di divenire operatori terminalisti del porto di Ravenna chiedendo la emissione dei relativi atti autorizzativi per l’esercizio di attività di impresa portuale (art. 16 l. 84/94) e concessori delle banchine (art. 18 l. 84/94) oltre a divenire titolari di diritti, hanno assunto, nei confronti dello Stato italiano, i correlativi obblighi ed impegni tra i quali:
assicurarsi che i traffici avvengano nel rispetto delle leggi dello Stato. Ciò è avvenuto per quanto riguarda la gestione del container oggetto di questa nota sottoposto ad un particolare regime autorizzativo e a particolari modalità operative per l’imbarco, come per tutti i materiali compresi nella classe 1. Correlativo al rigore normativo è stato particolarmente serio l’impegno del terminal, come in tutti i casi analoghi;
garantire concretamente che tutti gli operatori economici che si rivolgono ai terminal, del Gruppo come di altri operatori, possano esercitare le loro attività, nel rispetto delle leggi dello Stato italiano appunto, potendosi, in difetto, prospettare ipotesi distorsive delle attività economiche delle quali gli operatori terminalisti potrebbero essere chiamati a rispondere nei confronti degli enti di controllo.
Il Gruppo Sapir non intende comunque sottrarsi, chiariti quali sono i suoi obblighi, a esprimere la propria idea su quanto accade.
Le donne e gli uomini che collaborano alle attività del Gruppo rigettano , come antica ed antistorica, anche solo la idea che la guerra possa essere non solo praticata, ma anche pensata come mezzo di soluzione delle controversie tra popoli o tra parti di popoli.
La guerra non può essere né sarà mai la prosecuzione della politica e della diplomazia sotto altre forme.
Per questo le stesse donne e gli stessi uomini chiedono allo Stato italiano di farsi interprete presso tutte le sedi internazionali, della necessità di dare la pace a una delle zone più martoriate del pianeta e di agire concretamente in questo senso facendo tutto ciò che sia possibile.