“Noi speravamo…” dicono i due discepoli di Emmaus a Gesù apparso dopo la sua risurrezione e da loro non riconosciuto, se non allo spezzare del Pane.
Quante volte anche noi in qualche momento abbiamo detto o pensato “speravo… avevamo sperato che…”, ma da quella malattia non c’è stata guarigione, quel tentativo non è riuscito, quel posto di lavoro non è arrivato, quel matrimonio alla fine è fallito, quella guerra non si è interrotta e le morti continuano. Quante piccole o grandi speranze sono andate deluse! Eppure, anche nella nostra “epoca delle passioni tristi” moltissimi continuano a sperare che qualcosa avverrà, che qualche personaggio ci aiuterà o che una azione comune ci porterà a migliorare la nostra vita e a conquistare qualche spazio di bene, di giustizia, di onestà, di generosità. Gli esempi non mancano. Per esempio, da noi, nella lotta contro la sciagura dell’alluvione c’è stata tanta solidarietà, tanti hanno faticato gratuitamente per aiutare chi era oppresso e colpito. Però è vero che le speranze umane sono troppo spesso sottoposte anche al tradimento di chi commette ingiustizie o prevaricazioni e fa trionfare il suo egoismo. Tante volte il clima delle nostre comunità o degli ambienti di vita genera in noi un umore pesante e si perde fiducia negli altri o anche in noi stessi, ci si sente impotenti. Si perde speranza.
La Speranza cristiana, che noi torniamo ad annunciare ancora una volta in questo Giubileo 2025, ha però un altro contenuto e un’altra forza. Noi speriamo, crediamo e annunciamo che Gesù, il Cristo, il Signore risorto ci darà tutto quello che desideriamo in profondità: una vita senza fine, una vita piena, una vita colma di gioia, di pace, di luce, di amore vero, autentico, indistruttibile. Noi annunciamo una Speranza eterna, ma che inizia qui nella nostra storia, se ci apriamo nella fede a Colui che si è fatto uomo per noi, che ha assunto tutte le condizioni e i limiti della nostra natura, per riscattarci dalle nostre paure, dalle nostre piccolezze, dalla nostra tristezza. Lui nato a Nazaret, un villaggio sperduto del nord di Israele, è colui che ci ha portato tutto ciò che è necessario alla nostra natura umana debole e ferita, per risanarci e tornare a crescere in umanità, come Dio ci aveva pensati fina dall’inizio del mondo. Grazie a Lui possiamo raggiungere un obiettivo impossibile umanamente, quello di unirci per amore e con amore alla sua natura divina.
Lui si è fatto come noi, per farci come lui, figli nel Figlio. Il mistero del Natale ci apre a questa che è la grande verità che sta sotto e dentro tutte le nostre aspirazioni, le nostre lotte, i nostri propositi, sotto a ogni ricerca umana della felicità. Lui è l’unica risposta, quella che apre il nostro cuore e la nostra vita interiore al Dio Padre di tutti, ma apre anche le nostre relazioni coi vicini e coi lontani, a un modo nuovo di trattarci. Con Lui è apparso in tutto il suo splendore il grande dono della fraternità, dono e compito di ogni cristiano, ma desiderio spesso inconscio di ogni uomo e donna sulla terra. Il Signore Gesù, nostro fratello universale ci modella in questo cammino, se lo seguiamo e ci lasciamo amare come vuole lui, sulla via della croce, della pazienza, della umiltà, del dono sincero di sé a ogni fratello o sorella, ma via anche della gioia, della gloria, della vita piena ed eterna.
Buon Natale nella fede e nella speranza
Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo