Nella situazione densa di incognite e pericoli che sta vivendo il nostro Paese in materia di approvvigionamento energetico e di diversificazione delle fonti è comprensibile (ma non augurabile) che il Presidente del Consiglio Mario Draghi non escluda “la riapertura delle centrali a carbone per compensare eventuali mancanze nell’immediato” ipotizzando una strategia energetica dell’Italia che gradualmente si affranchi dal gas russo vista la guerra e l’invasione dell’Ucraina.
Ma ci permettiamo di suggerire, continua Giannantonio Mingozzi della segreteria del PRI ravennate, che a fronte dei rincari di questi mesi e delle incertezze del futuro (il 45% del gas che importiamo proviene dalla Russia) prima di evocare il ritorno al carbone sarebbe bene aumentare la produzione di gas dell’Adriatico anche con nuovi pozzi e concessioni, cioè senza limitare le estrazioni a quelli ancora riattivabili. Trent’anni fa l’Adriatico forniva 21 miliardi di metri cubi e oggi dagli impianti delle coste romagnole non si va oltre gli 800 milioni di metri cubi; per altri 30 anni almeno potremmo garantire con gli impianti del nostro mare un buon 20% del fabbisogno di 70 miliardi di metri cubi all’anno consumato da famiglie e imprese, e contribuire ad abbassarne il costo.
Il raddoppio decretato di recente per una produzione di 2,2 miliardi di metri cubi, conclude l’esponente dell’Edera, è un buon segnale, così come l’accelerazione di investimenti sulle fonti rinnovabili, ma ancora insufficiente per ridurre bollette e costi alle stelle; per questo non ci si può limitare ai soli pozzi esistenti ma occorre concedere nuove autorizzazioni per estrarre il gas italiano ed aiutare concretamente i bilanci delle famiglie ed i costi delle imprese, se non vogliamo che l’unica alternativa divenga il carbone.