Neppure un anno di meritatissimo riposo, ed è tornato letteralmente in trincea. Il professor Michele Massaro, 67 anni, cardiologo romano presso il Policlinico universitario Tor Vergata di Roma, in pensione da circa un anno, quando ha visto cosa sta succedendo in Italia, e in particolare in certe regioni tra cui l’Emilia Romagna, ha subito deciso di mettersi a disposizione. E adesso è al “Covid Hospital” di Lugo.
Dottor Massaro, una domanda forse banale ma cosa l’ha spinta a tornare in corsia?
“Beh di fronte alla situazione che si stava prospettando, e di fronte alla richiesta della protezione civile per dare una mano, non si poteva restare inerti. Avevo già chiesto a Roma se potevo essere d’aiuto, ma in quel momento la situazione in quel territorio non lo richiedeva. Pochi giorni dopo è uscito il bando della Protezione Civile e mi sono subito iscritto. La risposta dei medici è stata molto al di sopra della richiesta e questo mi fa molto piacere. A seguito di quel bando ho saputo che ero stato destinato alla Romagna e in particolare a Lugo, così sono partito”.
Ora che è qui e che sta affrontando questa prova non facile, si è mai detto “chi me l’ha fatto fare”?
“No mai. Certo, è duro, ma è importante portare aiuto proprio in questa fase delicata”.
E i suoi famigliari? Sono in ansia per lei?
“Mia moglie quando le ho detto che avrei aderito al bando della Protezione civile è stata orgogliosa, poi quando è stato il momento di partire si è un po’ rattristata. Ma ci sentiamo tutti i giorni”.
Dottore conosceva Lugo? Che realtà ha trovato?
“Non conoscevo Lugo, non ero mai stato da queste parti. Dell’Emilia Romagna conosco un po’ Bologna dove sono stato per alcuni congressi medici. Devo dire che ho trovato tanti colleghi bravi ed esperti. Mi stanno ad esempio aiutando a lavorare col sistema informatico dell’Emilia Romagna, che è diverso dal nostro (che bello sarebbe se ve ne fosse uno comune a tutti gli ospedali italiani…): loro sono delle ‘schegge’, efficenti. Ho trovato una buona organizzazione sanitaria che mi ha positivamente colpito. In poco tempo l’ospedale è stato trasformato”.
E la situazione clinica?
“Questi pazienti sono molto impegnativi da un punto di vista clinico, anche perché ve ne sono di anziani e/o con patologie pregresse, ad esempio neoplastiche. L’impegno dunque è tanto, ma è tanta anche la soddisfazione quando poi, per contro, vediamo dei miglioramenti in queste persone”.
Come è strutturata la sua giornata?
“Molto semplice, sono in ospedale alle otto di mattina e ci resto fino alle 15:30, o nel pomeriggio dalle 15 alle 21, salvo situazioni che richiedano il prolungamento del lavoro. Poi, di lì, vado direttamente presso l’alloggio che mi è stato assegnato, salvo passare a fare un po’ di spesa poiché non ci sono ovviamente locali aperti. Il resto della giornata lo trascorro a studiare ed aggiornarmi sulla situazione del coronavirus”.
Quindi non ha modo di conoscere la città…
“Direi proprio di no. Ma magari quando questa esperienza sarà superata, mi piacerebbe tornare e conoscerla”.
Paura? Tensione?
“Direi proprio di no. Prima di accettare questo incarico avevo valutato le cose. Poi devo dire che ho trovato la massima attenzione rispetto all’uso dei dispositivi di protezione individuale, mi sono state insegnate la vestizione e la svestizione, e questo aiuta. Certo ci vorrebbero ancora più persone. Ora dovrebbero iniziare ad essere operativi anche gli infermieri volontari, in modo da dare un po’ di respiro a chi è in trincea dall’inizio”.